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Ma di cosa stiamo parlando

Tutto inizia, secondo quanto scritto dai giudici, con un incontro nel maggio del 1974 organizzato dallo stesso Dell’Utri nel proprio ufficio,  in cui erano presenti Gaetano Cinà, Stefano Bontade, Mimmo Teresi,  Berlusconi e Dell’Utri stesso. Nel corso di quella riunione fu “siglato questo patto”, che ebbe inizio proprio con l’arrivo di Mangano ad Arcore. «L’incontro – è scritto nel provvedimento – ha costituito la genesi del rapporto che ha legato l’imprenditore e la mafia con la mediazione di Dell’Utri». «In virtù di tale patto – proseguono i giudici, i contraenti (Cosa nostra da una parte e Silvio Berlusconi dall’altra) e il mediatore contrattuale (Marcello Dell’Utri), hanno conseguito un risultato concreto e tangibile costituito dalla garanzia della protezione personale all’imprenditore tramite l’esborso di somme di denaro che quest’ultimo ha versato a Cosa nostra tramite Dell’Utri, che mediando i termini dell’accordo, ha consentito che l’associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere  sul territorio mediante l’ingresso nelle proprie casse di ingenti somme di denaro»

Il giudizio che si legge nei confronti di Berlusconi nelle oltre 400 pagine delle motivazioni, è durissimo, soprattutto alla luce del ruolo di uomo di stato ricoperto dal Cav.: «l’imprenditore milanese, abbandonando qualsiasi proposito (da cui non è parso ma sfiorato) di farsi proteggere da rimedi istituzionali, è rientrato sotto l’ombrello di protezione mafiosa assumendo Vittorio Mangano ad Arcore e non sottraendosi mai all’obbligo di versare ingenti somme di denaro alla mafia, quale corrispettivo della protezione. Mangano – concludono i giudici –  divenne così lo stalliere di Arcore “non tanto per la nota passione per i cavalli” ma “per garantire un presidio mafioso nella villa dell’imprenditore milanese».

(qui)