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Numeri perbene

Ho letto qualcuno che ieri ironizzava sulla mia pubblicazione della vignetta di Staino sull’infelicissima uscita di Grillo e Casaleggio (e uso “infelice” per cortesia). Parlando del tema e, soprattutto, confrontando i numeri (che servono sempre per una buona analisi, eh) vale la pena riprendere, stampare e tenere in tasca il post di Giovanni Giovannetti:

Sui costi sociali dell’immigrazione provo allora a dare qualche numero. A partire dall’Inps, che senza il loro flusso contributivo non saprebbe come pagare la pensione ai nostri anziani, affidati a oltre un milione di badanti (quasi il doppio dei dipendenti del sistema sanitario nazionale) delle quali l’80 per cento lavora in nero. Nel 2008 i lavoratori stranieri assicurati (nell’insieme sono 2.727.254, il 12,9 per cento, un ottavo dei 21.108.368 lavoratori iscritti all’Inps) hanno versato nelle casse dell’ente previdenziale 7,5 miliardi di euro. Insomma, gli stranieri danno molto più di quanto ricevono, poiché i pensionati stranieri (110.000 persone nel 2010) incidono appena per il 2,2 per cento. Vista l’età media nettamente più bassa di quella degli italiani (31,1 anni contro 43,5), è un andamento destinato a durare per molti anni. Il 63,2 per cento dei lavoratori immigrati assicurati opera alle dipendenze di aziende, oppure sono lavoratori domestici (17,6), operai agricoli (8,5), lavoratori autonomi (10,8). Dunque, ogni 10 lavoratori immigrati, 9 sono impiegati nel lavoro dipendente e uno solo svolge attività autonoma. Nel settore familiare, in un Paese con almeno 2,6 milioni di persone non autosufficienti e una popolazione composta per oltre un quinto da ultra-sessantacinquenni, l’apporto dei lavoratori immigrati, soprattutto donne, consente alla rete pubblica un risparmio quantificato dal ministero del Lavoro in 6 miliardi di euro. Anche in agricoltura gli immigrati incidono per oltre un quinto sul totale degli addetti. Il loro contributo è sempre più rilevante, sia tra gli stagionali che tra gli operai a tempo indeterminato, specialmente nell’allevamento, nella floricultura e nelle serre.

Nel 2012 oltre 20.000 immigrati sono rientrati in patria. Secondo Andrea Stoppini, «se consideriamo uno stipendio medio (dati Inps) di 12.000 euro lordi l’anno, i contributi previdenziali versati dai lavoratori dipendenti ammontano a quasi 4.000 euro l’anno; per una media di due anni e mezzo di permanenza in Italia, significano circa 10.000 euro. Se la stima di 20.000 lavoratori rientrati sarà confermata, nel complesso si tratterà di circa 200 milioni di euro che questi lavoratori avranno perduto, a meno che non riescano in futuro a ottenere un nuovo rapporto di lavoro in Italia, e che l’Inps potrà legittimamente trattenere nel suo bilancio. Per inciso, si tratta di una cifra analoga al costo annuo sostenuto per i circa 45.000 stranieri che vivono negli alloggi di edilizia residenziale pubblica, e dei quali tanto si parla nelle regioni settentrionali». E così commenta Riccardo Staglianò: «I precari italiani, se la loro condizione non migliora, tra una ventina d’anni prenderanno sì e no una pensione da 500-600 euro. Ma per gli stranieri che lavorano e pagano le tasse in Italia potrebbe andare ancora peggio. Nel senso che, se tornano nel loro Paese prima dei fatidici 65 anni e non c’è un accordo di reciprocità, i contributi versati qui rimarranno qui. Dal loro punto di vista li avranno buttati via. Dal nostro, sarà un gradito (quanto ingiusto) regalo alle casse dell’Inps». Insomma: «Quando incontrate un leghista che si indigna per il fatto che anche agli immigrati danno le case popolari (almeno non a loro insaputa), ricordategli questo dettaglio contabile» (le due citazioni sono riprese da Repubblica.it.webarchive).