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Antimafia: dov’è la classe dirigente?

Le urgenze cambiano e si spostano con il passare della vita. Funziona così: ciò che oggi ti sembra gravissimo e impellente domani probabilmente scade nel diventare qualcosa di cui occuparsi semplicemente prima che finisca la giornata. Succede nell’agenda della politica e della responsabilità collettiva, per il tema antimafia ad esempio e succede nella nostra agenda personale delle paure, delle preoccupazioni e delle cose da fare. Ogni tanto mi prende il dubbio, per fortuna molto raramente, che la vita sia una dei migliori alleati della mafia, per dire. Così oggi che è ottobre mi sembra già archeologia provare a ritessere il filo che parte dalle dichiarazioni sul del collaboratore di giustizia (ex boss della più potente famiglia di ‘ndrangheta di Crotone) Luigi Bonaventura che ha raccontato di come avrei dovuto morire e tutto il polverone conseguente: polvere insana, a grani grossi, con un gelo di diffidenza che ha sfiorato la diffamazioni anche da parte di presunti istituzionali professoroni che riescono a ridurre ciò che succede agli altri in una stretta formula algebrica, spesso anche con un risultato stupido e sbagliato. Poi si è posata la povere ed è successa una cosa peggiore che abbiamo deciso di tenere sotto silenzio, eh sì, pensa te, che la cosa peggiore non l’abbiamo nemmeno raccontata eppure sarebbe stata fortissima nel marketing delle notizie eppure allora probabilmente siamo pessimi esibizionisti, pure: un altro collaboratore di giustizia ex ‘ndranghetista questa volta al nord (oltre a Bonaventura, eh, pensa te) ha confermato i dettagli delle parole di Bonaventura ed è sceso più a fondo nei particolari. Ma dai, non lo sapevo, ma dai. Questo parlava e intanto noi stavamo ancora parando gli spifferi dell’altro: un bel safari tra pentiti convergenti mentre fuori qualcuno cerca la luce giusta per la foto ricordo. Una cosa così. Fino al ritrovamento di un’arma carica sotto la siepe di casa su cui sta indagando la magistratura. Che arrivi perfino a sperare di essere indagato per procurato allarme, io e i due pentiti e per fare le cose bene se serve anche la pistola, così almeno possiamo uscire a festeggiare tra amici, che è stato tutto un incredibile gioco di coincidenze che non possono e non devono fare paura.

Io non so quale sia la giusta definizione di antimafia, non mi interessa nemmeno quale sia il bon ton sociologico del perfetto antimafioso che non piace ma non dispiace e che naviga nel mare lesso della mediazione al ribasso come forma mentis, non so nemmeno cosa dovrei fare di diverso (attenzione, diverso perché so che potrei fare di più e meglio, ovviamente) dallo scassare la minchia che mi viene così naturale e non so se troveremo mai le parole giuste per descrivere quanto facciano più danno e più terrore i pavidi che si credono buoni rispetto ai cattivi che fanno i cattivi. Pensa, mi sono detto questa mattina prima di cominciare a scrivere e facevo colazione, pensa che mi chiedono di scrivere un editoriale su di me che invece vorrei così tanto essere un fatto, cronaca cruda, nomi, responsabili, responsabilità senza tutte quelle opinioni che sbrodolano intorno e invece sono qui che scrivo un editoriale, su di me. Da pazzi, eh.

Se posso scrivere e dire scrivo e dico che comunque metterci il dito, in tutto quello che tutti ti dicono di sapere sicuramente com’è, mettere il dito tra le pieghe delle certezze solidissime e insindacabili e armarsi di curiosità, fragilità, dubbi e perché no anche delle paure è un viaggio comunque sempre bellissimo. Forse davvero per cambiare il mondo dobbiamo essere disposti a farci cambiare dal mondo. Sono quasi sicuro che sarei così qualsiasi lavoro mi sarei ritrovato a fare e sono quasi sicuro che avrei comunque gli stessi nemici, così come dovrebbero averne tutti e per questo ho dubbi su coloro che sono amici di tutti. Sapere da che parte stare (lo ripeto e lo sento ripetere da anni) significa essere con qualcuno e essere contro qualcuno. Se ne ricordano, lì su, dove stanno quelli con la targhetta “classe dirigente”? Ecco, questo volevo scrivere e domandare: lo sanno, se ne ricordano?

(scritto per Milanosud)

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