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Se ne usciremo migliori

Questo è il ‘noi siamo qui’, oggi: gente impoverita e disillusa, rabbiosa e confusa, incattivita e in guerra contro qualcosa di nebbioso a cui cerca disperatamente di dare un volto: la politica, le tasse, l’Europa, la finanza, la Merkel, le auto blu. E altro, a piacere: gli immigrati, gli zingari, perfino gli ebrei – come sempre, quando si tocca il punto più basso.

La vera grande domanda che dobbiamo iniziare a porci quindi è se da questa profonda crisi – “passaggio” e “scelta”, etimologicamente – usciremo peggiori o migliori: come esseri umani, cittadini, persone inserite in un contesto sociale. Anche elettori, certo, ma forse questo viene dopo.

È su questo che è indispensabile iniziare a lavorare, oggi, per fare politica. Su noi stessi, sui vicini di casa o di lavoro, sugli amici al bar o quelli di Facebook. Sulle platee che abbiamo davanti, se ci capita di parlare in pubblico, alla radio o alla tivù. Su chi ci legge, se abbiamo la fortuna di essere letti da qualcuno.

Uscire dalla crisi – e non sto parlando solo di quella economica – avendo imparato la contaminazione, l’onestà intellettuale, l’importanza delle pratiche, il principio che sono i mezzi a legittimare il fine e non è il fine a giustificare i mezzi. Ma soprattutto avendo imparato che la nostra felicità non solo dipende da quella degli altri ma consisterà sempre più nel contrario dell’estensione del nostro io, nel contrario della ricetta centripeta che ci hanno inculcato per decenni.

Rileggevo questa mattina le parole di Alessandro sul suo blog e mi domandavo se veramente ne usciremo migliori da questo tempo di valori incerti e di modi intolleranti; se davvero quando finiremo questo essere tutti lupi verso gli altri per paura ci sarà una socialità diversa e veramente coesa. Se ci sarà davvero la rivoluzione culturale, insomma.