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Le lettere di Provenzano partono da Reggio (Calabria)

BERNARDO-PROVENZANO-facebookA proposito dei rapporti di Cosa Nostra e ‘Ndrangheta nell’era Provenzano Pasquale Violi per Il Quotidiano della Calabria ha scritto un pezzo da ritagliare e tenere nella cartelletta degli articoli importanti:

di Pasquale Violi – 28 dicembre 2013

Nel lungo periodo della sua latitanza , il super boss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, spedì alcune lettere risultate imbucate a Reggio. E i pentiti parlano dei suoi rapporti con i calabresi.

TRATTATIVA STATO – MAFIA Da latitante il super boss di Cosa Nostra spediva missive dalla città di Reggio

Provenzano, lettere dalla Calabria I collaboratori: “Rapporti con LamonteDe Stefano e un ricercato di San Luca

Reggio Calabria – Il 3 Aprile del 1994 Simone Castello, uomo fidato di Bernardo Provenzano, imbucò la prima delle due lettere che lo “zio Binnu” gli aveva chiesto di spedire da Reggio Calabria. Aprile ’94 e Luglio ’94, date che nel panorama della criminalità che viaggia sull’asse Sicilia-Calabria indicano il rapporto stretto che c’era e c’è tra “cosa nostra” e ‘ndrangheta. Il boss dei boss Bernardo Provenzano aveva le idee chiare sulla sua latitanza, sul fatto che non dovesse avere rapporti con nessuno e che la tecnologia lo avrebbe fatto cadere nelle mani delle forze dell’ordine. E’ rimasto latitante dal settembre del 1963 fino all’aprile del 2006 quando venne scovato in una masseria di Corleone, il suo regno. Per 43 anni è stato un’ombra che ha guidato il vertice della mafia siciliana insieme a Totò Riina. Oggi le sue lettere, i suoi pizzini, sono legate al fascicolo del processo sulla trattativa “stato mafia”, tra quelle missive anche quelle spedite da Reggio Calabria da Simone Castello, l’insospettabile uomo di “zio Binnu”. Ma perché spedire delle lettere indirizzate ai suoi generali da oltre lo stretto?
I motivi, che spiegheranno i pentiti, sono due: il depistaggio creato per far credere che Provenzano non fosse in Sicilia, e i contatti con gli uomini del clan della ‘ndrangheta che pure erano in affari con i corleonesi. E di questi contatti tra “cosa nostra” e ‘ndrangheta ne parlano due pentiti chiave della mafia siciliana: Angelo Siino e Luigi Ilardo. Il primo parla proprio del permesso chiesto a Bernardo Provenzano di poter andare a trattare con i calabresi. <<Io avevo chiesto a Giuseppe Madonia di poter incontrare questi calabresi – racconta il super pentito Angelo Siino ai magistrati della Dda di Palermo – siamo intorno al 1991. Dovevo incontrare tale Natale Iamonte che era il capo della mafia di Melito Porto Salvo e Piddu Madonia mi disse di sì ma che dovevamo informare anche lo “zio Binnu” che poi arrivò l’autorizzazione che mi ricordo dovevamo andare per sistemare un’impresa, sono certo di questo>>. Ma il pentito Siino ai magistrati dell’antimafia siciliana fa anche un’altra confidenza: <<Io avevo chiesto un incontro con i calabresi – riferisce il collaboratore di giustizia – e sapevo che Giuseppe Madonia aveva amicizie importanti in Calabria, le mie si erano essiccate con la morte di Paolo De Stefano>>.

A confermare i rapporti tra gli uomini della ‘ndrangheta e i corleonesi ci ha pensato anche Luigi Illardo, fidatissimo di Provenzano e persona a cui il super boss, che per 43 anni è rimasto latitante, ha inviato diverse lettere in codice. <<C’erano stati degli omicidi lì a Catania ma anche dopo a Gela – ha detto il pentito Luigi Ilardo – poi da me vennero Franco Romeo e Nitto Santapaola e Santapaola mi disse che dovevo stare attento perché Calderone (ndr il boss Giuseppe Calderone) voleva fottere me e mio cognato, allora facemmo arrivare degli amici calabresi, erano tre, uno lo conoscevo, tale Ciccio “Turro”, gli altri no, erano tutti di Reggio Calabria e stavano con me sempre, avevano sempre la pistola. Allora io quando c’erano questi iniziai a girare per cercare Calderone, era chiaro che se io guidavo la motocicletta allora avrebbe dovuto sparare Ciccio “Turru”, il calabrese. Poi seppi che tutto era iniziato perché mio zio era contrario alla droga e invece c’era stato un accordo tra Badalamenti, Bontate e Inzerillo>>. Ma è nell’azione di fuoco che Luigi Ilardo racconta dell’intervento dei calabresi. <<Tramite Santapaola riuscimmo ad avere un appuntamento con Calderone dalle parti di Acireale – riferisce il collaboratore di giustizia – allora organizzammo due gruppi e in uno c’erano i calabresi, Ciccio “Turro” e un latitante della zona di San Luca che io chiamavo Mico. Fu Turro a sparare a Calderone con una 38>>. Poi più volte ancora i due collaboratori di giustizia fanno riferimento ai legami con la Calabria e Luigi Ilardo racconta di quando fu lui, per comunicare con il super boss Bernardo Provenzano, incaricò Simone Castello di spedire una lettera, nel luglio 1994, da Reggio Calabria.

IL CASO 

Favori reciprochi tra siciliani e reggini  

I “killer” scambiati tra clan

Di Pasquale Violi

Reggio Calabria – Se il latitante di San Luca “Mico” è stato al fianco dei siciliani nell’omicidio del boss Calderone a Catania è il segno che cosa nostra e ‘ndrangheta si scambiano i “favori”, si “prestano” anche i killer. Un rapporto quello tra siciliani e calabresi che nel tempo si è cementato anche grazie ai traffici di droga e agli affari milionari fatti tra l’Italia, la Spagna e il Sud America. Ma il rapporto tra i clan della ‘ndrangheta e quelli della mafia ha origine lontane, molto lontane. Probabilmente uno dei primi episodi della letteratura criminale risale al 1967, precisamente al 23 Giugno del 1967, data di inizio della faida di Locri tra i Cordì e i Cataldo in cui morirono tre persone tra cui Domenico Cordì. Si parlò di sgarri per il contrabbando di sigarette come movente dell’agguato, ma quello che più conta è che secondo le informative delle forze dell’ordine tra i killer di quell’azione c’erano Tommaso “Masino” Scaduto, uomo delle famiglie di mafia di Bagheria e Angelo Di Cristina, boss che tra gli anni ’70 e ’80 avrà un peso criminale enorme nelle dinamiche di cosa nostra. Ma a riferire di scambio di favore a suon di calibro 7,65 è anche il pentito di Siderno Giuseppe Costa che ai magistrati di Reggio Calabria racconta di un omicidio commissionato dal boss Badalamenti. << I palermitani di Badalamenti – riferisce il collaboratore – ci chiesero di sparare ad uno scopino che lavorava a Siderno, lo facemmo e così potemmo iniziare un traffico di droga con i siciliani. All’epoca avevo rapporti con Vincenzo Mazzaferro ed insieme organizzammo due rapine ad istituti di credito tra Marina Jonica, io ho procurato armi e appoggio logistico, poi però entrammo in contrasto perché nel caso della seconda rapina mi diede una parte molto esigua del ricavato, mentre nel primo caso avevamo fatto a metà ciascuno. Poi avemmo questioni per un traffico di droga con la Sicilia. Mazzaferro su richiesta dei palermitani parenti di Badalamenti aveva chiesto di sparare ad uno scopino che lavorava a Siderno, la cosa fu fatta, fu usata una 127, ma quel tizio fu solo ferito ma i palermitani furono soddisfatti lo stesso e potemmo per questo iniziare un traffico droga con loro, ma Mazzaferro mi chiese i soldi in anticipo per un carico di droga e allora non se ne fece più niente>>. Infine è Rocco Varacalli, pentito di Natile a confermare i rapporti ‘ndrangheta-cosa nostra. <<Sono a conoscenza – dice il collaboratore – che Bernardo Provenzano e Totò Riina avevano frequentazioni con Cordì detto il “ragioniere”. So anche che Provenzano e Riina erano conoscenti del capo società del locale di San Luca>>.

Proprio questa frequentazione spiegherebbe il ruolo di pacificatori dei capi indiscussi della mafia siciliana nella guerra di Reggio Calabria tra la famiglia dei De Stefano e quella degli Imerti costata la vita a 966 persone tra il 1985 e il 1991. Poi le dichiarazioni del collaboratore entrano nella leggenda. <<Il citato Riina – racconta Varacalli – vestito da monaco si è recato in San Luca per fermare una faida che stava nascendo tra le famiglie locali>>. Tra il 2005 ed il 2012 almeno tre grosse operazioni antidroga, tra cui “Perseo” e “Dionisio” hanno evidenziato lo stretto rapporto di affari tra i clan calabresi e la mafia siciliana legata a Provenzano e Matteo Messina Denaro.

LO SCRITTO

<< In quelle zone si trattano grosse partite di soldi falsi>>

Di Pasquale Violi

Reggio Calabria – Ecco uno stralcio della lettera che Luigi Ilardo nel luglio del 1994 per il tramite di Simone Castello spedì a Bernardo Provenzano da Reggio Calabria. <<Carissimo zio è con gioia che ti scrivo queste righe, nella speranza che godi di ottima salute …. Abbiamo saputo che in quelle zone, persone vicine a V. stanno trattando delle grosse partite di soldi falsi da 50.000. Se c’è la possibilità saremo propensi ad acquistarne qualche grossa partita purchè ci vengono dati di prima mano, anche perché ci sono nostri amici che hanno avuto fatto delle grosse richieste. Purtroppo la crisi non è solo nel settore produttivo della nazione, bensì in tutti i settori e quindi un po’ tutti ne risentiamo. Se ci fosse la possibilità di far lavorare qualche ragazzo gelese, molte cose potrebbero cambiare. Per quanto concerne gli altri discorsi, tutto sembra andare per il verso, anche se qualche zone di ombra è pur sempre rimasta per quei discorsi che tu sai e riguardano i riesani C. e Decaro. Con la stima e l’affetto di sempre ti abbraccio, rimanendo sempre a tua completa disposizione f/ Gino>>.

Fonte: Il Quotidiano della Calabria” – Sabato 28 Dicembre 2013

Tratto da: 19luglio1992.com