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Che pena, di governo

Oggi non è stata una grande giornata per la Repubblica Italiana. Il commento che avrei voluto scrivere l’ha già scritto Massimo Matellini nel suo blog:

Che pena. Che pena che ho provato oggi. Che sgarbo alla poesia, citarla in forma di florilegio un tanto al chilo E che tristezza l’amnesia improvvisa, le scarne o assenti spiegazioni, la metafora della palude.

Che sconfinata delusione il Matteo Renzi che fino a ieri metteva fretta al Governo perché legiferasse in tempi cronometrici e che oggi invece si intesta senza imbarazzi ma anzi per il nostro bene un prossimo premierato fino al 2018, il tempo necessario – sciocchi che non siete altro – per cambiare l’Italia.

E con quale velocità, mentre Fassina parlava, (Fassina, no ma vi rendete conto?), con quale velocità, dicevo, ti assale improvvisamente al petto l’effetto 5 a 1 (qualcosa di simile all’effetto Sparwasser di Francesco Piccolo), quel sentimento di solidarietà istintiva col perdente nel momento in cui tutti si scoprono all’unisono contro di lui. Enrico Letta – pensa te – il peggiore fra i Premier degli ultimi anni, l’uomo tutto frasi e niente fatti, il ballista democristiano dei mille annunci puntualmente trasformati in niente, l’Enrico Letta che oggi pomeriggio, fossi stato lì, avrei voluto difendere dai suoi ex compagni impegnati non solo a sfiduciarlo in massa ma anche a discutere se, nel suo certificato di morte, fosse più elegante scrivere che come Presidente del Consiglio era stato notevole (come recitava il comunicato in politichese stretto da Renzi letto all’inizio della Direzione (anche questa una piccola Caporetto semantica che lo teletrasporta dai Negrita a Arnaldo Forlani in un picosecondo) o positivo (come suggeriva Fassina senza il minimo imbarazzo). Son problemi, certo.

[…]

Che grandissima pena capire (fosse la prima volta) che nessuno di questi signori potrà sopravvivere dieci secondi se mai qualcuno decidesse di grattare la superficie e vedere cosa c’è pochi millimetri sotto. Che tristezza prendere atto che non ci sono avanzati sogni da immaginare ma solo nuovi voti da buttare nel cesso in altre nuovissime maniere. Quando e se un presidente novantenne in comprensibile delirio di onnipotenza, deciderà bontà sua di concedercelo.