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«Strappare da questo mondo mia figlia, ancora minorenne»

Nella nebbia delle notizie di oggi c’è anche la luce della parole di Giovanna Galatolo. Giovanna è la figlia di “don Vincenzo”, boss dell’Acquasanta, il quartiere che sta al Cantiere Navale di Palermo. Ha deciso di parlare Giovanna, ha deciso di rompere il muro dell’omertà recidendo anche i rapporti famigliari pur di cercare un’altra strada per se stessa e soprattutto per «strappare da questo mondo mia figlia, ancora minorenne». Questa storia lascia le stesse impronte di Peppino Impastato, di Rita Atria e di tutti quelli (pochi, troppo pochi) che nonostante siano cresciuti in ambiente mafioso hanno avuto il cervello tanto curiosa e il cuore tanto grande per intravedere l’etica, le regole, la giustizia.

Giovanna sta dicendo tutto quello che sa puntando il dito contro gli zii, i cugini e i suoi stessi fratelli; ha raccontato dei rapporti tra Angelo Galatolo e Franco Mineo, l’ex deputato regionale di un partitino autonomista, “Grande Sud”, un passato di sindacalista, accusato di intestazione fittizia di beni aggravata, di peculato, malversazione e usura. Nel quartiere qualcuno la chiama “la pentita”, altri “la sbirra”, si vorrebbe comunque farla passare per puttana, per le regole di Cosa Nostra di sicuro è “disonorata”. Le risponde: «Non voglio più stare nella mafia, perché ci dovrei stare? Solo perché mio padre è mafioso? No, non ci sto. Non voglio rimanere nell’ambito criminale. Né voglio trattare con persone indegne. Adesso che collaboro mi vogliono fare passare per prostituta. Io voglio dedicarmi solo a mia figlia».

Parole chiare, con un senso solo. A pochi giorni dalle parole di Lucia Riina per fortuna si vede anche una luce.