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Il timore reverenziale per la polizia

9788861904613_il_partito_della_poliziaOra, chiariamolo subito, io alle forze dell’ordine devo questi ultimi anni di protezione e quindi non venitemi subito a scrivere che “non si fa dell’erba un fascio” oppure “sono poche mele marce” e tutti questi altri eccessi di legittima difesa che spuntano un secondo dopo avere letto il titolo. Seguitemi con calma.

Scrive Marco Preve nel suo interessantissimo libro ‘Il partito della Polizia’:

La polizia ha sempre funzionato come termometro di una democrazia. Più è presente nella società, meno quella società è libera e democratica. Nessuno Stato può fare a meno della polizia, a essa è affidato l’ordine pubblico, la difesa della proprietà privata, l’incolumità delle persone. Il sacrificio di una piccola porzione di libertà individuale vale la pena se in cambio tutti si sentono più sicuri. A patto che, attraverso le istituzioni, la società sia in grado di controllare l’operato dei poliziotti e riesca a intervenire laddove emergano degli abusi.

Sembra semplice, ma nell’Italia di questo inizio Duemila le responsabilità e i ruoli sono saltati e noi cittadini liberi ne abbiamo fatto le spese.

Più temiamo (piuttosto che rispettare) la nostra polizia e più siamo un Paese che ha un problema. Reale. La catena di comando della Polizia di questi ultimi anni (da De Gennaro in poi) ha avuto gravi responsabilità passate in giudicato (dalla scuola Diaz, ai fatti della caserma Ranieri a Napoli per citane un paio) ma non ne ha mai pagato il conto, anzi: i colpevoli hanno fruito tranquillamente di promozioni e solidarietà ai più alti livelli. Solo l’ultimo grado di giudizio ha “costretto” la politica a rimuovere i condannati.

Eppure la polizia oggi è vissuta troppo spesso come un pericolo piuttosto che un protezione (basti pensare ai casi Aldrovandi, Uva o Cucchi) e difficilmente il dibattito si è aperto al di là delle fazioni precostituite (centrodestra pro Polizia, sinistra contro e moderati zitti). Quanto è stata affidabile la nostra polizia? Potremmo prendere in prestito le parole di Francesco Carrer (uno dei criminologi, non da salotto televisivo, più noti d’Italia, esperto del Consiglio d’Europa e consulente di forze dell’ordine, organismi ed enti locali in tema di sicurezza).

«Sul piano sostanziale sono d’accordo con lei. Ho sempre sostenuto che il personale di quello che gli anglosassoni definiscono il settore del Law enforcement (poliziotti e magistrati) dovrebbe, quando sbaglia, essere sottoposto a norme più rigorose e restrittive del normale cittadino. Personalmente ho avuto occasione di scrivere che ritengo deleterio che a costoro venga applicata la norma del “patteggiamento”, “che umilia cittadini e poliziotti onesti, prevista per ridurre i tempi dei processi e che consente di dichiararsi colpevole senza sottoporsi a giudizio e di usufruire così di agevolazioni e sconti della pena. Il che può significare che cittadini onesti che hanno denunciato esponenti delle forze di polizia se li ritrovano in servizio dopo pochi mesi, magari promossi di grado”. Il personale delle forze di polizia viene considerato alla stregua di ogni altro cittadino e pubblico dipendente. In pratica, ciò significa che ogni provvedimento disciplinare viene preso solo quando il comportamento in oggetto è stato giudicato un reato in via definitiva dopo tre gradi di giudizio. Il che, considerando i tempi della giustizia italiana, può richiedere una decina d’anni d’attesa. Ciò significa che, di fatto, il provvedimento immediato più severo per un poliziotto sorpreso a rubare in un negozio – reato grave moralmente, meno giuridicamente – è il trasferimento in un ufficio distante un paio di chilometri da quello in cui lavorava al momento del fatto. A ciò aggiunga l’atteggiamento di molti sindacati, più realisti del re e più attenti ai propri iscritti e alle loro deleghe che non ai cittadini. Scegliendo un esempio fior da fiore, in Francia e in Italia queste organizzazioni si sono fieramente opposte alla possibilità di controlli sul personale. Forse che la negazione aprioristica di comportamenti negativi (violenze, torture, ma anche altri reati) e la difesa dei loro possibili autori non è simile all’accettazione delle fabbriche di armi in nome della salvaguardia dei posti di lavoro? 

[…]

«Per chiarire la mia posizione, ho avuto modo di scrivere che “dovremo porci l’obiettivo di arrivare ad avere poliziotti così preparati sul piano professionale, così onesti su quello morale e così motivati su quello personale da essere percepiti dalla maggioranza del paese come al di sopra di ogni critica e di ogni sospetto. Avere poliziotti talmente autorevoli da rendere irreale il fatto che la loro parola valga quanto, se non meno, non solo di quella di un pregiudicato, ma anche di un normale cittadino. Avere poliziotti così integerrimi da rendere risibile qualsiasi critica di avvocati difensori, politici e pennivendoli. Avere poliziotti così corretti da rendere certa e automatica la condanna per ogni episodio di oltraggio a pubblico ufficiale denunciato da uno di loro. Avere poliziotti così onesti da impedire a qualsiasi magistrato anche il solo formarsi dell’idea di metterne uno sotto accusa”. Da tempo quest’obiettivo ha giustificato gran parte delle mie fatiche nel settore, ma sempre con la consapevolezza che si tratta di un traguardo a lungo termine che in certi momenti sembra anche a me del tutto irrealizzabile e onirico. Più prosaicamente, “ogni paese ha la polizia che si merita e, comunque, che è stato capace di darsi”.»

Insomma: ‘Il partito della Polizia’ fossi in voi lo leggerei. Senza riverenza. Confidando nell’intelligenza delle persone che non fanno “di tutta l’erba un fascio” in un libro che fa i nomi e i cognomi. Come piace a noi.