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Idiozia digitale

L’equo compenso decantato dal Ministro Franceschini ha delle tariffe che sono vergognose per un paese che parli di sviluppo digitale. Basta leggere l’articolo di Gianfranco Giardina per farsi un’idea. Vale la pena leggere anche l’opinione di Guido Scorza:

Sono – come peraltro era già dato immaginare dalle anticipazioni contenute nel comunicato stampa del Ministero dello scorso 20 giugno ed in quello, di pari data, della Siae – aumenti tariffari da capogiro che costeranno ai consumatori italiani oltre 150 milioni di euro l’anno e porteranno nelle casse della Siae– solo a titolo di rimborsi di costi di gestione – oltre 10 milioni di euro cui andranno ad aggiungersi importi egualmente esorbitanti grazie agli interessi bancari ed ai proventi finanziari che la Società maturerà avendo in deposito la montagna di denaro in questione.

Ma scorrendo il testo del Decreto, oltre ai numeri, ci sono altri aspetti che balzano agli occhi e colorano questa vicenda delle tinte fosche dei peggiori esempi di buona amministrazione.

Cominciamo dal principio. La legge prevede che il Ministro dei beni e delle attività culturali aggiorni – e, non necessariamente aumenti – le tariffe dell’equo compenso, sentito il Comitato permanente sul diritto d’autoree le associazioni di categoria dei produttori di tecnologia. Nessun riferimento, dunque, alla Siae.

Eppure il Decreto che il Ministro Franceschini ha firmato è stato, sostanzialmente, dettato proprio dalla Siae, soggetto che, nella partita, è portatore di un doppio interesse, evidentemente, di parte sia in quanto rappresentante di autori ed editori destinatari ultimi del compenso sia perché, più sono alte le tariffe dell’equo compenso maggiore è l’importo che essa trattiene per sé a titolo di rimborso dei costi di gestione.

Nessun Ministro della Repubblica dovrebbe lasciarsi suggerire cosa scrivere in un proprio decreto da un soggetto portatore di un palese ed evidente proprio interesse di parte.