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Lombardo e (ancora!) il sistema Ciancio

CATANIA – Sono state depositate le motivazioni della sentenza di condanna a sei anni e otto mesi di reclusione all’ex presidente della Regione Siciliana e leader del Mpa, Raffaele Lombardo per concorso esterno all’associazione. La sentenza -spiega l’Ansa- è stata emessa, il 19 febbraio del 2014, dal Gup di Catania Marina Rizza a conclusione del processo che è stato celebrato col rito abbreviato dopo che il Gip Luigi Barone ne aveva disposto l’imputazione coatta a fronte della richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura. Il procedimento era nato da uno stralcio dell’inchiesta Iblis avviato su indagini dei carabinieri del Ros su rapporti tra mafia, imprenditori, politici e amministratori. Le motivazioni sono contenute in 325 pagine firmate dal Giudice per l’udienza preliminare Marina Rizza, che le ha depositate lo scorso 18 agosto.

Raffaele Lombardo ha “sollecitato, direttamente o indirettamente, i vertici di Cosa nostra a reperire voti per lui e per il partito per cui militava (le regionali in Sicilia del 2001 e nel 2008 e le provinciali a Enna nel 2003) ingenerando nei medesimi il convincimento sulla sua disponibilità a assecondare la consorteria mafiosa nel controllo di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici”. Lo scrive il Gup di Catania Marina Rizza nelle motivazioni della sentenza del 19 febbraio con la quale, a conclusione di un processo col rito abbreviato condizionato, ha condannato l’ex presidente della Regione Siciliana a 6 anni e 8 mesi di reclusione per concorso esterno all’associazione mafiosa. Secondo il giudice, l’ex governatore avrebbe “determinato e rafforzato il proposito dei capi e dei partecipi della medesima associazione di acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o il controllo di attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici” e di “ostacolare l’esercizio del diritto di voto e di procurare voti per sé e per altri”.

Per il Gup Rizza appare “provato” che Raffaele Lombardo abbia “contribuito sistematicamente e consapevolmente“, anche mediante “le relazioni derivanti dalla sua pregressa militanza in più partiti politici”, alle “attività e al raggiungimento degli scopi criminali dell’associazione mafiosa” per “il controllo di appalti e servizi pubblici”. Il Gup ritiene che l’ex presidente della Regione con “la promessa di attivarsi in favore dell’associazione mafiosa nell’adozione di scelte politiche e amministrative abbia intenzionalmente ingenerato, mantenuto e rafforzato il diffuso convincimento sulla sua completa disponibilità alle esigenze della consorteria”.

IL SISTEMA CIANCIO – Per il gup Rizza -svela l’Agi- ‘modus operandi’, sarebbe stato sempre lo stesso: “Acquistavano terreni agricoli nella prospettiva di ottenerne la variazione di destinazione urbanistica, e poi realizzare elevati guadagni con la plusvalenza della proprieta’”. Il Giudice cita l’esempio di quattro casi: il piano di costruzione di alloggi per militari Usa di contrada Xirumi, mai venuto alla luce, e tre centri commerciali, uno solo dei quali e’ stato effettivamente realizzato. Parlando di questa ‘tecnica’, il Gup cita il caso dell’editore catanese Mario Ciancio Sanfilippo, indagato per concorso esterno all’associazione mafiosa in un altro procedimento, del quale la Procura ha chiesto per due volte l’archiviazione. Il fascicolo non e’ stato ancora definito. Nella sentenza, il Gup Rizza dispone il rinvio alla Procura di alcuni dei atti che l’ufficio del Pm aveva allegato al processo Lombardo. Secondo il Gup il progetto di due affari trattati anche dall’editore Ciancio “annoverava tra i soci un soggetto vicino a Cosa nostra palermitana”. “Il modus operandi e la presenza di elementi vicini alla mafia -scrive il Gup- fanno ritenere con un elevato coefficiente di probabilita’ che lo stesso Ciancio fosse soggetto assai vicino al detto sodalizio”. L’editore, “attraverso i contatti con Cosa nostra di Palermo -secondo la sentenza- avrebbe quindi apportato un contributo concreto, effettivo e duraturo alla ‘famiglia’ catanese. Per questo -spiega il giudice- appare necessario la trasmissione degli atti al Pm per la valutazione di competenza sull’imprenditore”. 

LA REPLICA DI CIANCIO- L’editore Mario Ciancio ha replicato attraverso Lasiciliaweb. “Le valutazioni del Gup che ha condannato il Presidente Lombardo affrontano temi e argomenti concernenti la mia persona già noti da tempo al Procuratore della Repubblica di Catania” dichiara l’editore Mario Cianco Sanfilippo attraverso i suoi legali.

“Sorprende la gravità di una valutazione in ordine alla posizione di una persona estranea al processo e che non ha potuto certamente interloquire con il giudice per fornire dati e notizie che avrebbero determinato una valutazione di diverso tenore. Sarebbe stato fornito infatti ampio materiale documentale da cui rilevare il possesso dei miei terreni da oltre quarant’anni, circostanza che confligge con l’ipotesi di acquisti effettuati per lucrare lauti guadagni in combutta con ambienti mafiosi”.

“Non intendo subire, però, alcuna condanna senza giudizio e sono indignato per essere stato indicato come persona vicina ad ambienti mafiosi. Ho dato mandato ai miei avvocati di affrontare immediatamente i temi sollevati dal Gup con l’unico interlocutore possibile, il Procuratore della Repubblica di Catania il quale certamente non ha bisogno di un giudice che gli dica cosa fare e al quale intendo affidare la mia persona, la mia famiglia e il futuro delle mie aziende”.

(fonte)