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Como, in provincia di ‘ndrangheta

Fino Mornasco, Como, Lombardia. Oggi parla la ‘ndrangheta: “Il passato bisogna ricordarlo compà! (…) Perché per imparare qualcosa devi ricordarti il passato, se no non impari mai”. La tradizione prima di tutto. Dopodiché gli affari: “Tu ancora devi pensare a domani, no a ieri. A ieri non ci devi pensare più (…) Quello che hai fatto ormai, di qua a la sei arrivato. Ti devi preoccupare da qui a li”. Passo dopo passo insomma. Come in Calabria anche qui nell’alta Brianza tra Fino, Appiano Gentile, Cadorago, Bulgorello e Cirimido, i boss seguono lo spartito criminale che impone un basso profilo per tutelare il business e intavolare rapporti con la politica locale, con le imprese, con la massoneria. Saggezza criminale da tramandare a figli e nipoti. Di nuovo in presa diretta. “Io dovevo essere destinato a prendere il suo posto, sicuramente a lavorare insieme a lui (…) e guarda che lui è uscito a luglio dell’anno scorso, è venuto e ha cominciato il discorso, ha preso il giro lungo: no perché sai, qua e là, tu hai il mio nome, tutto quanto, già la credibilità è diversa”.

POLITICA, MAFIA E PREFERENZE
“QUESTO CI PROCURA VOTI CERTI”
Questo il quadro di un territorio per nulla toccato dalle ultime grandi inchieste dell’antimafia milanese e che, negli anni, ha visto tornare in libertà boss di primissimo piano. L’istantanea emerge dalle carte di un’indagine della Dda su cui, però, pende una richiesta di archiviazione. E nonostante questo le intercettazioni e le annotazioni dei carabinieri di Como fotografano un territorio a tal punto infiltrato dalla ‘ndrangheta che un noto consigliere comunale di Fino Mornasco, già assessore nello stesso comune può permettersi di salutare un pregiudicato legato al clan locale con l’appellativo di “cumpà”. E sempre lo stesso, perorando la licenza commerciale di Luciano Nocera, pregiudicato, trafficante in stretti rapporti con i boss, parla così con un notissimo ex consigliere regionale del Pdl: “Guarda abbiamo fatto un affare perché se il problema glielo risolviamo questo qua è uno che mo smette di lavorare e va in giro e ci procura voti certi”.

ONORE E SANGUE, L’OMICIDIO DEL CORRIERE
DELLA COCA E LA RUSPA IN CASA DEL SUPERBOSS
A volte, però, qualcosa s’inceppa. Perché nel mondo mafioso onore, rispetto, denaro sono pilastri attorno ai quali ruota tutto. Muore per questo Ernesto Albanese, 33enne di Polistena (Reggio Calabria), residente a Fino Mornasco. Muore con un colpo di pistola alla testa e finisce in una buca di tre metri dentro a un cantiere abbandonato a Guanzate. Il suo corpo viene ritrovato il 2 ottobre 2014 dalla squadra Mobile di Como. Gli investigatori ci arrivano seguendo le indicazioni di un nuovo collaboratore di giustizia il cui nome, ad ora, viene tenuto riservato. Il corpo di Albanese sarà poi identificato il giorno dopo. La scientifica che lavora sul posto si avvale anche di esperti di scavi archeologici. Si studiano le stratificazioni del terreno. Di più: i tecnici riescono a fare un calco in gesso della benna che ha scavato la buca. Un calco, che secondo fonti qualificate, corrisponde a una ruspa trovata ad Appiano Gentile nella villa di un noto pregiudicato della zona, coinvolto negli anni Novanta nell’operazione La notte dei fiori di San Vito. Si tratta della prima inchiesta che svelò la capillare presenze delle ‘ndrine in territorio lombardo. I pentiti dell’epoca raccontarono dei suoi traffici di droga. L’indagine lo descrisse come capo società di una locale di ‘ndrangheta in un comune del Comasco. Quando lo arrestarono gli investigatori trovarono nel suo appartamento diverse formule di affiliazione.

NARCOTRAFFICANTI E BOSS
COCAINA, PISTOLE, AFFARI 
E che l’omicidio di Ernesto Albanese, già arrestato nel 2008 perché trovato con un due chili di cocaina, sia di matrice mafiosa lo racconta la recente inchiesta del pm di Milano Marcello Musso che nel luglio 2014 ha chiuso l’operazione Pavone 4 su diversi gruppi di narcotrafficanti legati al crimine organizzato. Negli ordini di cattura, eseguiti dal Ros di Milano, c’era anche Ernesto Albanese descritto come un corriere della droga per conto di Luciano Nocera, quello dei “voti certi”, legato da un lato alla ‘ndrangheta di Fino Mornasco e dall’altro fornitore di cocaina per conto di un’altra cosca, già coinvolta nell’operazione Infinito del 2010.

Nel 2008 Albanese viene fermato proprio mentre sta portando un carico ai boss calabresi. Nell’estate 2014, però, la vittima sfugge agli arresti. Il Ros di Milano non lo trova. E del resto, secondo la ricostruzione della Mobile di Como, le tracce del “corriere della coca” si perdono nel giugno 2014, mese in cui presumibilmente viene ucciso. Nello stesso periodo qualcuno spara tre colpi di calibro 9 contro alcune case nel comune di Bulgorello. Finiscono nell’appartamento di due coniugi del tutto estranei alla vicenda. Il 9 ottobre 2014 per quel fatto viene fermato Francesco Virgato detto Frank, 44enne di Mariano Comense. Virgato, ad oggi, non è accusato dell’omicidio. Il suo nome però compare nelle annotazioni dei carabinieri di Como che hanno indagato sui traffici di droga di Nocera. I due, secondo i militari sono legati. Di più: Virgato più volte è stato visto entrare e uscire dalla casa del boss locale.

SCONTATA LA PENA I CAPI TORNANO LIBERI E SI RIPRENDONO
IL TERRITORIO: LA CONNECTION CON L’AMMINISTRAZIONE
Insomma, la vicenda di Ernesto Albanese, che poteva finire archiviata come un caso di lupara bianca, alza il velo su uno spaccato criminale che in questa zona mette insieme boss di ‘ndrangheta certificati da condanne definitive e ora tornati in libertà, insospettabili mai sfiorati dalle indagini e politici un po’ troppo spregiudicati nei loro rapporti. Una fotografia impietosa scattata dall’inchiesta Arcobaleno condotta dalla Dda di Milano e sulla quale pende una richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero Mario Venditti. Nelle carte dell’indagine, però, il ragionamento dei carabinieri di Como è chiaro. “Siamo in presenza – si legge – di un assalto finanziario all’intera area canturina (…). Sono ormai consolidate sul territorio lariano alcune presenze che costituiscono il terminale delle attività economico finanziarie delle ‘ndrine del Reggino”.

L’attenzione della magistratura così si fissa su un preciso gruppo criminale che dimostra di avere “influenza anche per quanto concerne l’infiltrazione nella pubblica amministrazione che riguarda i comuni di Cadorago, Appiano Gentile e Guanzate”. Ancora i carabinieri: “Esempio classico di tale capillare condizionamento è l’attivismo evidenziato per le elezioni regionali del marzo 2010, attraverso la promozione di un candidato tra politici, imprenditori e pregiudicati locali, convocati in appositi e segreti vertici per il controllo del voto elettorale finalizzato appunto alla vittoria del candidato amico”. Lo stesso candidato, rieletto al Pirellone nel 2010, che, a proposito del sostegno elettorale, ragiona in questo modo: “Preferisco sedermi col peggior delinquente di questo mondo ma di parola”.

PAROLE IN LIBERTA’, IL VICESINDACO: “LE PISTOLE
LE TROVIAMO IN OGNI ANGOLO DEL MONDO”
E se l’obiettivo è quello di racimolare voti, ecco la posizione di un sindaco della zona: “Perché – si legge nel brogliaccio – c’è chi fa il lavoro sporco dietro (…) è andare poi casa per casa a raccogliere voti e in questo ti posso garantire che abbiamo un’organizzazione capillare…”. Prosegue l’ex vice sindaco: “Fa invidia ai migliori investigatori di tutto il mondo”. Aggiunge: “Perché tu sai qual è la mia provenienza? Le pistole le troviamo in ogni angolo del mondo”. E ancora: “Tu devi pensare che hai di fronte anche delle famiglie meridionali”.

Se il boss, visto le sue condanne definitive, sta dietro le quinte, i rapporti con impresa e politica vengono tenuti da suoi fiduciari che magari hanno condanne per droga ma non per mafia. Le intercettazioni fissano il punto. E’ il gennaio 2010 e, ricostruiscono i carabinieri, la ‘ndrangheta di Fino Mornasco lavora pancia a terra per sostenere il proprio candidato alle regionali. Ne parlano un ex assessore di Cadorago e un pregiudicato legato ai boss nonché presidente di una squadra di calcio locale. “Si evince – annotano gli investigatori – l’interessamento per la campagna elettorale in vista delle consultazioni elettorali regionali”. Dice l’uomo dei boss: “Non bisogna dormire”. Risponde l’assessore: “Io mi fido solo di te e del mio cane”. Quindi chiude la chiamata: “Va bene comunque dai ci troviamo e parliamo anche un attimino a voce che è meglio”.

Non c’è, poi, solo il comune, ma anche la provincia di Como. Emerge così la figura di un consigliere eletto nel 2009 grazie ai voti della malavita. Ancora le intercettazioni colgono l’oggettività delle conversazione tra il “collaboratore del boss” e il politico. Dice il secondo: “Ti faccio gli auguri di buon Natale, sono il consigliere provinciale, mi hai fatto la campagna elettorale, a Cadorago ho vinto per te”. Risposta: “Mi sono impegnato”.

L’UOMO D’AFFARI, L’ONOREVOLE DELL’UDC
E IL FRATELLO DI UN EX GOVERNATORE DEL SUD 
Boss, politici e uomini d’affari, rispettati, insospettabili, capaci di tessere rapporti ben oltre le amministrazioni locali. E’ il caso di un personaggio nato in Calabria ma residente a Cadorago “che – annotano i carabinieri – costituisce elemento di raccordo tra alti esponenti della ‘ndrangheta lombarda e alcuni esponenti politici di rilievo”. Dai tabulati e dai servizi di osservazione spunta anche un ex onorevole dell’Udc, nonché il fratello di un importante politico calabrese.

Questo il contesto che emerge dalle intercettazioni. Un contesto, va ricordato, che ad oggi resta estromesso dal campo penale. C’è la ‘ndrangheta , ma non c’è reato. Paradossale. Soprattutto se si rilegge la storia recente di questa zona. Storia fatta di attentati e di omicidi. Tanto per capire tra il settembre 2000 e il gennaio 2001 in questa zona si registrano sei attentati intimidatori. Per sei volte ignoti sparano contro le saracinesche di locali che gestiscono macchinette videopoker. Il far west, però, passa sotto traccia. Addirittura nella notte del 4 marzo 2001, vengono colpiti contemporaneamente quattro locali. In quello stesso periodo, fanno notare i carabinieri, il boss di Fino Mornasco, attraverso l’interfaccia della moglie, apre una società che, guarda caso, gestisce videopoker.

Nel 2008, poi, si spara e si uccide. Ecco un breve stralcio dell’annotazione dei carabinieri: “In data 8 Agosto 2008 alle ore 17.25 circa, in Cadorago (CO), frazione Bulgorello, presso il bar Arcobaleno in via Monte Rosa n. 8, veniva ucciso con tipiche modalità di agguato mafioso Franco Mancuso”. L’omicidio ad oggi resta irrisolto. La pista iniziale puntò dritta negli ambienti della ‘ndrangheta locale. Di più: una lettera anonima indicò nel mandante dell’omicidio un noto pregiudicato già condannato per mafia e indicato capo società di una ‘ndrina locale. Lo stesso che in casa teneva la ruspa utilizzata per seppellire Ernesto Albanese. Nulla si fece. Vinse l’omertà. La storia oggi rischia di ripetersi.

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