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“Brigada”: a Torino la mafia si fa rumena

Prima condanna al 416bis per una gang rumena, con riti di affiliazione e gerarchie:

Controllavano la prostituzione, i traffici di droga, racket, bancomat clonati e non solo. Imponevano con la forza i loro buttafuori nelle discoteche dei rumeni, così da controllarne le attività e ottenere parte dei loro ricavi. Altri locali erano obbligati a ingaggiare i loro cantanti, da cui ottenevano una parte dei compensi. Erano queste le principali attività della “Brigada”, organizzazione mafiosa rumena smantellata a Torino nel giugno 2013. Stamattina nell’aula bunker di Torino il gup Luisa Ferracane ha condannato quattordici appartenenti alla “Brigada” con pene dai cinque ai 15 anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, spaccio, sfruttamento della prostituzione, lesioni e un tentato omicidio. Si tratta della prima condanna per 416 bis nei confronti di un’organizzazione criminale proveniente dalla Romania. La pena più alta è andata a Eugen Gheorghe Paun, detto Coco, 34 anni, ritenuto il capo della “Brigada” dal 2011.

L’inchiesta. L’indagine è stata condotta dalla Squadra mobile di Torino, guidata dal vicequestore Luigi Silipo e coordinata dai sostituti procuratori della Dda di Torino Monica Abbatecola e Paolo Toso. Gli investigatori, che indagavano sul racket dei buttafuori, sono stati aiutati dalla collaborazione di un pentito, S.V.L., spaventato dalla violenza dei connazionali, con cui era in attività: “Ho timore che poi scattino delle ritorsioni verso mio figlio o verso altri miei cari”. Ha così raccontato l’evoluzione criminale del primo boss, Viorel Oarza, che dopo aver fatto il buttafuori, si è dato al contrabbando di sigarette, allo sfruttamento della prostituzione e alle rapine dei Tir intrecciando legami con la famiglia mafiosa dei Corduneanu, potente clan della regione moldava. Ha continuato a guidare il gruppo fino al 2011, grazie alla mediazione della moglie e alla complicità di una suora che gli aveva portato un telefono in carcere.

Il racket di buttafuori e cantanti. Bastava creare un po’ di scompiglio nei locali per imporre la propria “security”. Uno sguardo di troppo, qualche insulto e parte la rissa che i buttafuori presenti non possono controllare. Poi, con calma, si passa a proporre l’affare con nuovi gorilla, più forti degli altri. “Era un modo per avere dei vantaggi – spiega il collaboratore di giustizia – ad esempio il controllo delle attività dei locali, nel senso del controllo di chi entra e chi esce, dei clienti e dei fornitori; era un modo per farsi vedere forti, e ciò fa paura agli albanesi, fa paura agli italiani, ai gestori dei locali”. I gestori pagavano direttamente i boss, che poi giravano i soldi ai loro uomini trattenendo 20 o 30 euro per ognuno.

Ma c’era anche un racket dei cantanti romeni, “esplicitamente minacciati affinché non cantassero in locali diversi da quelli gestiti dal gruppo delinquenziale”: “Il diretto controllo dei cantanti più gettonati garantirebbe un più elevato numero di frequentatori, innalzando indubbiamente gli introiti dei loro locali”, si legge nell’ordinanza. E questo vuol dire parecchi soldi fatti con le dediche: “Vengono dati soldi ai musicanti e vengono fatte dediche alle famiglie. Chi vuole dimostrare di essere più forte da somme più alte”. I cantanti poi dovevano fare a metà coi gestori del locale.

Dalla faida alla “pax mafiosa. Tra il 2009 e il 2010 Torino e la sua periferia sono stati lo sfondo di una serie di agguati, sparatorie e omicidi legati allo scontro tra i vecchi controllori della prostituzione, gli albanesi, e i nuovi arrivati. Obiettivo principale erano i capi. Nell’aprile 2009 un commando guidato da Oarza spara a Nol Sheu. Gli albanesi rispondono il 17 gennaio 2010, quando il fratello Pal Sheu uccide un parente di Paun. Quasi due anni dopo l’obiettivo è proprio il boss “Coco”: il 2 dicembre 2012 un commando di albanesi va allo Zimbru e aggredisce il gestore: “Da parte di Niko”, dice un aggressore dopo averlo lasciato a terra in gravi condizioni. Ora però sembra essere scoppiata la “pax mafiosa”: durante il processo al boss albanese Nol Sheu, detto “Niko” per il tentato omicidio di Paun, quest’ultimo – chiamato a rispondere come teste – ha detto di non ritenere il rivale mandante della spedizione punitiva.

(fonte)