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A Roma il vigliacco non è Marino: è il PD

Il sempre lucido Marco Damilano scrive perfettamente quello che in molti pensano. Solo che lui trova le parole giuste:

Era da anni che non si vedeva uno spettacolo del genere. Un sindaco scelto con le primarie e poi eletto dai cittadini viene sbugiardato da una segreteria di partito che vorrebbe imporgli i nomi degli assessori. Dettano legge ras e capetti di corrente che non sono stati votati da nessuno (anzi, molti di loro hanno perso le primarie per cui hanno gareggiato) o hanno conquistato un posto con la riffa delle preferenze. Non per cambiare la città, sia chiaro, o per rovesciare il sindaco ma ammettendo le loro responsabilità. No, si chiede il commissariamento, togliere potere al sindaco incontrollabile e restituirli al partito, anzi, al Partito, cone se esistesse ancora quello con la maiuscola. Dimenticando che Marino fu scelto da Goffredo Bettini e poi eletto sindaco in un momento in cui l’intera segreteria cittadina era dimissionaria, la dirigenza si era volatilizzata e nessuno voleva metterci la faccia. Era la primavera del 2013, Grillo era ancora fortissimo e faceva paura, Alfio Marchini stava macinando voti, all’epoca i coraggiosissimi dirigenti del Pd romano che oggi reclamano le dimissioni si nascosero dietro la figura del chirurgo. Quello che oggi gli viene imputato, di essere un alieno estraneo alla città, un anno e mezzo fa sembrò essere il suo punto di forza. Se Marino avesse vinto, avrebbe trascinato anche il Pd. Se avesse perso, sarebbe stata unicamente colpa sua.