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Sempre sull’attentato a Di Matteo

Un importante articolo di Riccardo Lo Verso:

Gli episodi sono sempre più circoscritti. È nel dicembre 2012 che la mafia avrebbe iniziato a progettare l’attentato al pubblico ministero di Palermo Nino Di Matteo. Si tratta dell’attentato di cui parla oggi Vito Galatolo, il boss che, prima ancora di pentirsi, si è voluto togliere un peso dalla coscienza. “Ci sono dietro gli stessi mandanti di Borsellino”, ha detto il capomafia aprendo scenari ancora più inquietanti.

Un direttorio ristretto di boss avrebbe deciso di sfidare lo Stato colpendo uno degli uomini simbolo della lotta a Cosa nostra. Oggi i boss che avrebbero fatto parte del piano, coordinato dallo stesso Galatolo, sono tutti in cella. Il progetto di morte è andato avanti per dua anni. Poi, il blitz Apocalisse di cinque mesi fa avrebbe evitato il peggio. Era pronto persino l’esplosivo che in questi giorni gli uomini della Dia hanno cercato senza successo nelle campagne di Monreale dove c’è la villetta di uno dei 95 arrestati del mega blitz di giugno.

Si scopre che ci furono grandi preparativi fra l’8 e il 9 dicembre di due anni fa per fare incontrare Girolamo Biondino – fratello di Salvatore, l’autista di Totò Riina – e Vito Galatolo. Entrambi sono finiti in carcere nel blitz Apocalisse del giugno scorso. Sono accusati il primo di essere il capo mandamento di San Lorenzo-Tommaso Natale e il secondo di avere guidato la famiglia dell’Acquasanta. Solo la prudenza di Biondino, che aveva già scontato una lunga pena, gli suggerì di defilarsi all’ultimo minuto. Forse aveva capito di essere pedinato. E così Galatolo avrebbe incontrato i rappresentanti delle famiglie di Partanna Mondello e Tommaso Natale. Il boss dell’Acquasanta che ha deciso di pentirsi colloca in quella stagione di summit l’inizio del progetto di uccidere Di Matteo.

Il rampollo di una delle più blasonate famiglie mafiose si trovava in città per seguire un processo. Era stato da poco scarcerato. Aveva, però, il divieto di soggiorno a Palermo e si era trasferito a Mestre. Con un apposito permesso gli era stato dato il via libera per presenziare alle udienze. L’organizzazione dell’incontro sarebbe stata affidata a due picciotti.

Alle ore 19:05 dell’8 dicembre di due anni viene intercettato in macchina Roberto Sardisco, braccio destro di Silvio Guerrera, considerato il reggente della famiglia di Tommaso Natale. A bordo di una Fiat 500 raggiungono un bar a Tommaso Natale. Sardisco scende dalla macchina e sale su un furgone. Alla guida c’è un altro indagato. Assieme arrivano al civico 61 di via Barcarello dove c’è la villetta di Mimmo Biondino. Entrano in casa. Pochi minuti dopo Sardisco telefona a Guerrera: “Domani alle dieci”. Secondo gli investigatori, è la conferma dell’appuntamento. Infine arriva una telefonata a casa di Galatolo dove l’uomo sta cenando con la moglie: “… telefonò Vito e ha detto che potete scendere che aspetta a noi per mangiare”.

Il 9 dicembre gli investigatori sono pronti a monitorare gli spostamenti di tutti i protagonisti. Quattro minuti dopo le 9 Guerrera è in macchina. Sardisco passa sotto casa di Tommaso Masino Contino, in cella con l’accusa di essere il capo della famiglia di Partanna Mondello. Nel frattempo, Biondino esce di casa a piedi. Percorre le vie Barcarello, del Tritone e del Mandarino e sale sulla Citroen C4 di Guerrera. La macchina è imbottita di microspie. Biondino si informa: “Che c’è Vito?”. Risposta affermativa. Guerrera, però, spiega che “a Masino non l’ho potuto trovare”. Biondino si rammarica: “Ci voleva Masino… ci voleva per certi discorsi… Masino ci vuole perché sa tanti discorsi”. Poi inizia a innervosirsi: “Dove dobbiamo salire? Là? Neanche io lo so, dove vuoi posteggiare posteggi, dove ci portano queste teste di minchia… li prenderei a calci nel culo a queste teste di… entra là dentro… abbiamo tante cose… da discutere”.

Gli inquirenti li hanno seguito passo dopo passo. Dopo aver percorso le vie Rosario Nicoletti, Partanna Mondello ed Emilio Salgari si sono fermati in via Jack London. Sono scesi dalla macchina per entrare nel condominio al civico 31 di via Partanna Mondello. Dopo pochi minuti, però, Biondino e Guerrera escono. Salgono in macchina e vengono intercettati in via Lanza di Scalea. L’incontro è saltato. Biondino deve avere fiutato qualcosa. Forse i movimenti delle forze dell’ordine.

Nel pomeriggio della stessa giornata vengono monitorati nuovi spostamenti. C’è una novità importante: Biondino si è defilato. Guerrera e Contino si spostano a bordo di una Smart. “Dobbiamo andare in corso Tukory… è da stamattina che mi rompo i… – spiega Guerrera – mi stavano facendo attummuliari stamattina. Stamattina non ti ho potuto trovare… hanno una cosa urgente, subito”. Alle 17 e 30 arrivano in via Lincoln. E si spostano in macchina verso una zona Secondo gli investigatori, avrebbero incontrato da qualche parte Vito Galatolo.

Cosa c’era di così urgente da trattare? Probabilmente in pochi, pochissimi erano a conoscenza dell’argomento. Non a caso Galatolo avrebbe parlato di un numero ristretto di personaggi, legati anche ad altri mandamenti della città, che a loro volta avrebbero partecipato ad altri summit su cui adesso si dovrà fare luce.

Perché nel dicembre 2012 la mafia inizia a progettare un attentato contro Nino Di Matteo.C’entrano il processo e l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia di cui il pubblico ministero si occupa assieme ai colleghi Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia? Le indiscrezioni che trapelano addensano l’ombra dei mandanti esterni. Soggetti diversi da Cosa nostra potrebbero avere deciso di servrsi dei boss per colpire loro obiettivi. Anche di questo avrebbe parlato Galatolo, figlio di Enzo, capomafia dell’Acquasanta coinvolto nelle stragi del’92 e in omicidi eccellenti come quello del giudice istruttore Rocco Chinnici.

Galatolo, 41 anni, detto “u picciriddu”, avrebbe deciso di vuotare il sacco temendo che che l’attentato potesse ancora essere realizzato. Troppo alto il rischio di subirene le conseguenze giudiziarie. Galatolo ha parlato anche dell’arrivo in città di un carico di esplosivo di cui, però, non c’è traccia. Gli investigatori lo hanno cercato in una villetta di Vincenzo Graziano. Già condannato per Mafia, Graziano aveva finito di scontare la pena nel 2012, ma è tornato in cella nel blitz Apocalisse con l’accusa di essere il regista del monopolio, realizzato d’intesa con Galatolo, nel settore delle slot machines e delle scommesse sportive on line. Gli veniva inoltre contestato, sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Sergio Flamia, di avere affiliato, assieme a Galatolo, mentre si trovavano in carcere, un nuovo uomo d’onore. Accuse che, però, non hanno retto al vaglio del Tribunale del Riesame e Graziano è stato scarcerato.

Del tritolo non c’è traccia. Qualcuno potrebbe avere già provveduto a ripulire i luogo dove era stato custodito. E poi ci sono le menti esterne. Quelle che, secondo Galatolo, avrebbero voluto la morte del giudice Borsellino e ora spingevano per assassinare Di Matteo.