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Astensione: il buon giudizio

Tra le miriadi di analisi forse vale la pena di leggere Fabrizio Barca. Ed eleggerlo, anche:

“Tutto va ben madama la marchesa”… o quasi: questa è la reazione dominante delle classi dirigenti del paese di fronte al crollo del numero di votanti in Calabria e soprattutto in Emilia-Romagna. “In Emilia-Romagna? Beh, ma cosa ti aspettavi dopo gli scandali! In Calabria? Ma, “loro” votano pure in troppi (un po’ di razzismo non fa mai male)! E poi senza opposizione credibile … perché andare a votare? E, per dircela fra di noi, è un bene che a votare siano in meno … come in tutti i ‘paesi civili'”.

Intendiamoci. Prima di tutto un augurio ai neo-Presidenti eletti, e la speranza che in Calabria sia l’inizio del cambiamento: quella terra può farcela. Ma a livello nazionale il tema è un altro. Nessuno deve nascondere la testa sotto la sabbia. Alla marchesa della canzone dobbiamo spiegare perché il marito si è suicidato e perché la casa è andata a fuoco.

Il crollo dei votanti non è, caro Pierluigi (Battista) – che hai il merito di essere allarmato -, la “reazione ritorsiva dei corpi intermedi”, ma la “reazione ritorsiva dei cittadini disintermediati”. E delusi anche dall’ultimo tentativo, quello (per versi generoso, per versi autoritario) di Cinque Stelle, di offrire loro una “relazione diretta con il Palazzo”. I fatti sono chiari. Fra Stato e cittadini, singoli o organizzati, si è aperta da tempo una faglia che ora si allarga. Perché, ovunque, trenta anni di liberismo hanno minato la capacità dello Stato di rispondere in modo discrezionale e partecipato ai bisogni dei cittadini. Perché in Europa ciò è aggravato dall’insostenibilità di un’Unione Monetaria che non si completa in Unione Politica.

Perché in Italia pesa uno Stato normo-centrico che non presidia l’attuazione degli interventi, succube di azzeccagarbugli e progettifici, incapace al suo interno di premiare il merito; uno Stato a cui i cittadini si rivolgono per “aiuto”, non per fare valere diritti, e che dunque essi disprezzano. E perché, unici nel mondo occidentale, abbiamo preso sul serio l’idea che “i partiti sono un residuo del novecento”; abbiamo vissuto la loro identificazione con lo Stato (e la corruzione e decadimento che ne sono discesi) come l’annuncio della loro fine, non come il campanello di allarme per la loro ricostruzione.

La rinunzia al diritto di voto avviene in misura assai più grave che in contesti simili di Germania o Spagna, simile solo a quella statunitense o britannica (guardatevi i numeri, ne vale la pena). Ma soprattutto da noi è ben più pericolosa. Per tre ragioni. Perché, soprattutto nei paesi anglosassoni, ai cittadini viene offerta la possibilità di giudicare i propri eletti sulla base dei risultati del loro operato, e di punirli, disertando i loro servizi: un metodo che produce ineguaglianza, ma che risponde a criteri almeno astratti di giustizia. Perché in altri paesi – si pensi alla Germania – ai cittadini e ai lavoratori sono offerte e riconosciute piattaforme di partecipazione che “li tirano dentro” nei processi decisionali; e che essi hanno imparato a usare. Perché solo da noi incombe l’Anti-Stato, ossia la criminalità organizzata: quando annusa il distacco fra Stato e cittadini, si fa avanti con i propri “servizi”; come avviene in questi giorni.

E allora, si eviti, per carità, di minimizzare questo brutto giorno della democrazia italiana. E se ne eviti anche un uso strumentale, addossando la responsabilità solo alle nuove classi dirigenti che guidano il paese, come se l’ideologia della semplificazione, del partito leggero, del leader che dialoga con i cittadini, della demolizione dei corpi intermedi non costituiscano la farina dell’ultimo ventennio. E si prenda di petto il tema di ricostruirli, questi benedetti partiti. Il PD ha l’occasione di farlo. Porteremo nella Commissione di studio che il Partito ha avviato il contributo dei mille volontari che, consapevoli dei propri limiti, ma anche della propria forza, stanno sperimentando una nuova forma di partito, proprio nel PD. Leggete e fate leggere!