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“Un lavoratore, un padre e un compagno”: la mia intervista per LA NOSTRA VOCE

Schermata 2014-12-11 alle 19.52.51Giulio Cavalli nasce come artista di teatro, è un attore, ma non è un interprete qualunque.

I suoi spettacoli si ispirano a fatti realmente accaduti, al presente civile, sociale e politico del nostro Paese. E’ sotto scorta dal 2008. La ‘Ndrangheta non gradisce gli attacchi che lancia dal palco, le verità che racconta al pubblico di quel Nord dove per molti ancora vale il ritornello: “Qui la mafia non esiste”. Nell’aprile 2010 è stato eletto come consigliere regionale indipendente nella lista dell’Italia dei Valori in Lombardia. In seguito, ha aderito al gruppo di Sinistra Ecologia e Libertà. Questa è l’intervista che gentilmente ci ha concesso.

Chi è Giulio Cavalli oggi?

Un lavoratore, un padre e un compagno. E’ concentrato sul lavoro che ama di più: scrivere, oltre che nell’ascolto di tutto ciò che purtroppo si è perso in questi ultimi anni.

E’ attore, regista e scrittore. Cosa, ritiene, abbiano in comune queste tre arti?

L’amore per le storie, per le persone che troppo spesso rimangono impigliate nelle proprie fragilità o nella pavidità di coloro che gli stanno intorno. Credo che la parola scritta e recitata sia un utile scalpello per portare in superficie vicende che sono rimaste troppo sole o che non sono state abbastanza forti per riuscire ad avere voce.

Perché ha deciso di fare l’attore? Qual è stata la scintilla che le ha fatto capire di intraprendere questo percorso?

Ho studiato per molti anni pianoforte. Uno studio intenso, quasi convulso, in cui ho sperimentato il piacere di comunicare “a cuore aperto” senza mediazioni. Con il tempo ho voluto cercare uno strumento che mi permettesse di mantenere la musica aggiungendo parola e movimento.

Partendo dal suo impegno, ha affermato che il teatro deve essere un “mezzo per mantenere vive pagine importanti della nostra storia”, ha un ruolo civile ma anche partigiano. Ci spiega meglio cosa intende? Si potrebbe definire un teatro di controinformazione?

Il mio lavoro non è di mera informazione. Non credo nemmeno di essere capace di esercitare l’informazione pura: quando vado in scena, devo prendere una posizione, sento il bisogno di comunicare al mio pubblico da che parte sto. In “bambini a dondolo” sono contro i turisti sessuali su minori, in “Linate” racconto le responsabilità degli enti e dell’aeroporto e, allo stesso modo, nei miei spettacoli di “mafia” decido volontariamente di scagliarmi contro i criminali che racconto.

Ritiene che il teatro possa avere la forza di influire sulla coscienza civile di un Paese, nonostante il numero ristretto di persone che raggiunge?

Sì. Perché il teatro è un ottimo punto di partenza per aprire un dibattito che spesso scivola poi su mezzi molto più popolari.

Diversi suoi spettacoli nascono da sentenze giudiziarie. In che modo avviene il processo di trasformazione di una sentenza in un’opera teatrale?

Leggendo la documentazione senza tenere conto dei reati commessi dal punto di vista penale ma pensando all’opportunità e all’inopportunità degli atteggiamenti. Esercitare il senso comune di etica può essere un allenamento per una chiave di lettura collettiva.

A partire dal 2010, è passato anche all’impegno diretto in politica; si è candidato alle elezioni regionali della Lombardia come indipendente nella lista dell’Idv. Come mai ha deciso di affrontare anche questo tipo di impegno? Teatro e politica, quali sono secondo lei i punti in comune?

Credo che la buona politica sia una delle più alte forme d’arte. So che di questi tempi può suonare anacronistico ma credo che l’alfabetizzazione (anche, nel mio caso, sul tema delle mafie) sia compito degli intellettuali e della politica.

Cos’è per lei la mafia?

Tre o più persone che si mettono d’accordo per arricchire il proprio privato a danno del pubblico. E con tutto intorno un ambiente che glielo consente.

“Mafie al nord” è un’espressione molto usata oggi. E’ opportuno parlare di connivenza?

Sicuro. Dopo l’arresto di un assessore della Giunta Regionale in Lombardia penso che la cosa sia acclarata. Chi oggi lo nega o è un imbecille o è un colluso.

Per lo spettacolo “Do ut Des”, nel 2008, ha subìto delle intimidazioni mafiose, per le quali le è stata assegnata la scorta. Immaginava che il suo spettacolo potesse provocare un effetto simile? Quali sono state in concreto le minacce ricevute?

Le minacce sono la cosa meno interessante. Non amo il voyeurismo che si scatena su minacciati “d’arte” per altro in un Paese che dimentica o testimoni di giustizia o i tanti “al fronte”. Posso dirti che ad ogni azione corrisponde una reazione e, visti i soggetti su cui lavoro, era immaginabile una reazione non convenzionale. E continua negli anni.

Continua a vivere sotto scorta. Si è mai sentito solo?

Mai.

Tra i motivi che l’hanno resa una persona “scomoda” per la mafia vi è la denuncia dei rapporti che legano la politica e la criminalità organizzata. Quanto è ancora forte il legame che intreccia lo Stato e l’antistato per eccellenza, e come è possibile reciderlo?

Direi che l’arresto di un ex Ministro degli Interni possa fotografare bene la gravità situazione attuale. Credo che si possa immaginare un miglioramento se ognuno di noi cominciasse a sentirsi, nel proprio piccolo e nella propria funzione, classe dirigente di questo Paese.

Cos’è per lei la libertà?

Rispondere alle regole e non alle convenienze. Potersi permettere di farlo, sempre.

(fonte)