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‘Ndrangheta a Perugia: i fatti e i nomi

La droga arrivava su dalla Calabria fino a Perugia occultata nei trolley a bordo di autobus di linea privati. Ogni due settimane fino a dieci chili della polvere magica che poi immessa sul mercato umbro fruttava ai calabresi centinaia di migliaia di euro. A finire in manette nell’operazione condotta dagli uomini del Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri, un gruppo di ‘ndranghetisti crotonesi impiantanti a Perugia, tutti ritenuti appartenenti alla cosca dei Farao-Marincola di Cirò, operante da tempo sul territorio umbro. Un traffico di stupefacenti sul quale gli uomini del Ros sono riusciti a mettere le mani partendo dalle carte del processo a carico di Gregorio Procopio, attualmente in attesa della sentenza di Cassazione, il cui imputato è ritenuto responsabile dell’omicidio di Roberto Provenzano, muratore 37enne originario di Maida, in provincia di Catanzaro, ucciso da un colpo di pistola alla tempia la notte tra il 28 e il 29 maggio del 2005 e ritrovato in un lago di sangue nel bagno della sua abitazione di Ponte Felcino alle porte di Perugia. Secondo quanto illustrato dal Pm della Dda di Perugia Antonella Duchini le intercettazioni già oggetto del dibattimento processuale, sono state rilette e rivisitate, incrociate con le carte dell’inchiesta ”Acroterium”, anche alla luce di nuove tecniche investigative, grazie alle tecniche di filtraggio operate dalRIS dei Carabinieri di Roma, hanno portato all’individuazione degli altri presunti responsabili, convincendo il Gip ad emettere la nuova ordinanza cautelare per altre sei persone. A finire in manette in relazione all’omicidio sono stati Antonio Procopio, Elia Francesco e Platon Guasi, indicati come esecutori materiali, e Salvatore Papaianni, Vincenzo Bartolo e Giuseppe Affatato, che avrebbero invece ordinato il delitto. Soggetti ritenuti appartenenti al gruppo criminale dei calabresi che teneva praticamente il monopolio del traffico di cocaina nel perugino. Secondo quanto emerso dalle indagini, una volta giunta in Umbria, la coca veniva venduta sul mercato locale attraverso una fitta rete di spacciatori. “Dobbiamo andare dal dottore“, “sono pronte le patate rosse“: queste le parole d’ordine che servivano a pusher e ganci per capire che la droga era arrivata a Perugia ed era pronta per essere spacciata. L’asse Calabria-Umbria garantiva una fiorente attività di narcotraffico, attraverso la distribuzione di ingenti partite di cocaina nelle province di Perugia e Terni. Venivano poi stabiliti i compensi per le attività illecite: spezzare le gambe o appiccare un incendio costava circa 7 o 8 mila euro. Un gruppo criminale che, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, costituisce la naturale prosecuzione della locale di ‘ndrangheta, già capeggiata dai pregiudicati Salvatore Papainni, Vincenzo Bartolo ed Francesco Elia, che nei primi anni 2000 gestiva il traffico di sostanze stupefacenti nel capoluogo umbro e che aveva ordinato l’omicidio di Roberto Provenzano. Circostanza, quest’ultima, ricostruita anche grazie alle dichiarazioni del testimone di giustizia Giuseppe Affatato, uno dei mandanti dell’omicidio, che nel settembre del 2013 aveva ricordato ai complici che eventuali “sgarri” nei pagamenti della droga avrebbero comportato “un colpo in fronte”, esattamente come avvenuto era avvenuto per Provenzano.

(clic)