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Narrazione politica e disimpegno intellettuale

Un attualissimo pezzo di Giuseppe Mazza:

Durante le trattative che hanno portato all’elezione di Mattarella, la stampa ha riportato una frase di Renzi: “Il nuovo presidente deve essere una storia raccontabile”. Che frase perfetta per “La politica nell’era dello storytelling” di Christian Salmon. Libro sui politici moderni, i quali secondo l’autore mistificano le loro azioni in narrazioni facilmente comunicabili, inscenando una sorta di reality show perenne. Gli esempi renziani sono noti – la rottamazione o i gufi contrari al cambiamento – ma per Salmon il fenomeno riguarda tutti gli “uomini di Stato di nuova generazione”. Più che un saggio, è un involontario libro di narrativa. Più che di un’analisi, si tratta di paure camuffate da tesi. Il tema è per l’appunto lo storytelling politico, la sua mitizzazione. E i personaggi fondamentali sono due: il sistema dei media e il nuovo leader politico. Una storia però parla anche di chi la racconta. In questo senso, Salmon, ha firmato suo malgrado una perfetta descrizione della marginalità della classe intellettuale odierna.

Leggendo il suo libro appare chiaro quanto tuttora i colti non accettino altra traduzione del mondo della comunicazione che non sia un qualche invito a disperare. Con Salmon è tutto un narcisistico “ormai”, una sdegnata presa d’atto. Il suo obiettivo è il sistema dei media, colpevole sembra di capire d’aver compromesso il racconto di Stato. Nella babele moderna, secondo l’autore, le narrazioni dei leader si aggrovigliano e perdono la linearità indiscussa che fu del discorso di Re Giorgio, il quale parlava alla radio, nel silenzio, per tutti.

Salmon deplora questa perdita di centralità così come potrebbe farlo un funzionario dell’ENA, la celebre scuola dei manager pubblici d’oltralpe: “Se la vita politica si dà da leggere come un intrigante feuilleton che punta a catturare l’attenzione – scrive – il potere non dispone più del monopolio della narrazione”. Davvero una doglianza francese: non a caso Mosse fa risalire la nascita dello Stato narratore proprio alla Francia post-rivoluzionaria, alla retorica dei volontari caduti in battaglia e ai martiri come Marat.

Andrebbe ricordato di quali atrocità fu capace, quella narrazione centralizzata. L’invenzione del Milite Ignoto dopo la prima guerra mondiale, per esempio, non fu puro storytelling di Stato? In Italia avvenne nel 1921 con raggelante cerimoniale: i militari portano la madre di un disperso davanti a dei caduti ormai irriconoscibili, le chiedono di indicarne uno. Quando la donna si accascia, sconvolta, è prescelta la bara a lei più vicina. Segue il lento viaggio in treno del cadavere, da Aquileia fino all’Altare della Patria di Roma, in processione di paese in paese, su un vagone abbigliato con festoni di fiori, accompagnato da retoriche sanguinarie. Va detto: davanti alla violenza di quelle narrazioni, il sistema dei media attuale appare infinitamente più umano.

L’altro personaggio del libro è il leader moderno. Con le sue parole. “Siamo governati dagli aneddoti”, altrove denunciava lo scrittore. Eppure questi ultimi sembrano piacergli parecchio: egli assegna grande importanza, se non valore di prova, a semplici battute e ovvie dichiarazioni d’intenti dei politici e dei loro entourage. Il solo fatto che essi proclamino di voler tradurre la politica in storie raccontabili, ai suoi occhi dimostra che la manipolazione è in atto ed è incontrastata. Qui il problema di Salmon diventa le sue fonti. Citare quelle frasi, infatti, è come riportare i testuali di una brochure promozionale.

È evidente, i raccontatori hanno tutto l’interesse a dipingersi come infallibili artefici dell’opinione pubblica. Né s’è mai visto un narratore che inviti a diffidare della propria storia. Nel mondo della comunicazione in tanti giurano d’essere alla guida della modernità. Ma, semplicemente, questo fa parte della vendita. Donald Draper, il pubblicitario di Mad Men, in un episodio della serie sostiene persino che l’amore romantico è un’invenzione dell’advertising. Il fatto è che la realtà è più ampia delle loro narrazioni. A proposito: a quale trucco narrativo avrebbe fatto ricorso Mattarella per essere eletto?
Arriviamo alla fine del libro. Il leader storyteller è atteso da un finale tragico: il suo abuso dei mass media secondo l’autore ne ha distrutto la credibilità di narratore, come uno “spettro rischiarato da quelle stesse fiamme che si accingono a divorarlo”. Cosa però dovrebbe aspettarci dopo questo falò non è precisato. Probabilmente, un altro preoccupatissimo libro di Salmon.

Mitizzare lo storytelling politico gratifica i suoi protagonisti quanto i suoi detrattori. I primi ne escono come piccole potenze culturali, i secondi come eroici combattenti letterari. Così la critica e la pratica si ricongiungono, avvolte nella stessa narrazione. Attaccare o sbandierare il potere dello storytelling è in entrambi i casi un modo per riconoscerne la divinità. Persino il fatto che Renzi nei giorni scorsi abbia pubblicamente acquistato il libro di Salmon può essere visto come un gesto autoreferenziale: qui leggo le mie imprese.

Questo tipo d’interpretazione dei media sta aggiornando in chiave pop un’idea elitista del potere, fatto di talento più che di competenze, di guru più che di conflitti. Un mondo del quale sembra impossibile poter rientrare in possesso, riservato a doti magiche.

L’enfasi negativa di Salmon non è apocalittica: è pura narrazione al servizio del disimpegno intellettuale. Il suo libro racconta in fin dei conti come per i colti occidentali il mondo della comunicazione sia una sorta di natura maligna e immodificabile, invece che un habitat vivo. In realtà, per vivere meglio tra i mass media un sapere servirebbe eccome. Temo però che ci sarebbe un po’ meno da raccontare e un po’ più da studiare.