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EXPO: la ‘ndrangheta mette le mani su 100 milioni di euro

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Gli appetiti della mafia sui grandi lavori di Expo sono un fatto ormai, tristemente, assodato. Lo testimoniano decine di inchieste giudiziarie e le 46 interdittive della Prefettura che hanno messo in luce i legami tra decine di imprenditori e le famiglie mafiose. Mai, finora, era però stato quantificato il giro di affari sul quale i clan della ‘ndrangheta erano riusciti a mettere le mani. Ecco, ora il dato viene messo nero su bianco dai magistrati della Direzione nazionale antimafia che nella relazione annuale sui clan nel nostro Paese quantificano, con precisione, il volume economico dei appalti e subappalti Expo sui quali i clan erano riusciti a mettere le mani. La cifra è sbalorditiva: cento milioni di euro.
«Alla data del 3 dicembre 2014 la Prefettura di Milano ha emesso 46 interdittive nei confronti di imprese risultate affidatarie di contratti e subcontratti riguardanti o connessi all’Expo – si legge a pagina 310 della Relazione annuale della Dna – per un valore complessivo di circa 100 milioni di euro». Appalti dai quali, proprio in forza alle interdittive firmate dal prefetto Francesco Paolo Tronca, queste imprese sono state successivamente escluse. La cifra complessiva spiega bene perché, nonostante tutti sappiano che l’attenzione dell’antimafia su Expo sia alta, i clan abbiano comunque tentato qualsiasi strada per infiltrarsi nel cantiere: passaggi societari, quote intestate a familiari e prestanome, fantomatiche fusioni aziendali.
Dalla relazione dei magistrati antimafia, guidati dal procuratore nazionale Franco Roberti, emergono altri dati significativi. Il primo sfata definitivamente la «bufala» dei mafiosi arrivati dal meridione alla conquista del Nord.

Solo undici delle ditte «estromesse» dagli appalti provengono dal Sud: un’azienda dalla Campania, sei dalla Calabria e quattro dalla Sicilia. «Le restanti 35 imprese fino ad ora interdette hanno tutte sede legale nell’Italia Settentrionale»: venti in Lombardia, nove in Emilia Romagna, tre in Piemonte, due in Veneto e una in Toscana. «Va ancora evidenziato come l’assoluta prevalenza (ben 32) delle imprese sia infiltrata dalla ‘ndrangheta. Tale dato non fa che confermare la capacità delle cosche calabresi, già più volte accertata in ambito giudiziario, di inserirsi e radicarsi nel tessuto economico di aree diverse da quelle di origine, un tempo ingenuamente considerate munite di anticorpi capaci di resistere alle pressioni criminali». La maggior parte delle imprese incriminate riguarda i lavori per le «infrastrutture stradali», Teem e Pedemontana in particolare: «Con ogni probabilità – scrivono i magistrati – tale scelta è da collegare alla maggiore difficoltà che le forze dell’ordine incontrano nell’eseguire i controlli su cantieri che si estendono per lunghissimi tratti e pertanto non circoscrivibili».

L’altro dato che emerge dalla Relazione 2015 è quello che spiega come i clan siano arrivati (potenzialmente) a mettere le mani sui «100 milioni di commesse». Il sistema utilizzato è quello dello «spezzettamento» dei lavori per evitare i controlli: «La maggior parte dei lavori risulta al di sotto della soglia dei 150 mila euro. Ciò vuol dire che le imprese risultate infiltrate avevano mirato a contratti che, secondo le regole ordinarie (e se non si fossero seguite le regole della tutela rafforzata previste dal Comitato per l’alta sorveglianza delle grandi opere) non sarebbero stati oggetto di controlli».

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