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Parla il pentito: «Qui al Nord tutti lavorano, poi alla domenica fanno i malandrini»

Luciano Nocera
Luciano Nocera

«Quando mi diede la “santa” mi tagliò, ho una croce dietro la schiena, e il sangue che è sceso se l’è bevuto. È la verità». Carcere di Como, anno 2004, in cella con Luciano Nocera c’è Luigi Vona, capolocale della ‘ndrangheta a Canzo, e un ragazzo di San Luca (RC). «Lui non venne con noi in bagno. Vona prima mi fece camorrista, due settimane dopo mi diede la “santa”. Sulla minore è stato bruciato un santino, sulla maggiore c’era un bicchiere e tre molliche di pane». Il racconto del collaboratore di giustizia Luciano Nocera davanti ai pm della Dda Storari, Celle, Dolci e Ombra riempie 500 pagine di verbali. La prima confessione arriva ad ottobre davanti al pm Marcello Musso. «Io non ero affiliato, però sono sempre stato vicino a gente affiliata, mi sono fatto la galera senza mai parlare, allora Luigi mi ha voluto portare avanti». Le parole di Nocera sono uno spaccato inedito e attuale (gli interrogatori sono di gennaio e febbraio 2015) della ‘ndrangheta in Lombardia. Nocera è calabrese di Giffone come buona parte degli uomini delle cosche tra Milano e Como. Dopo l’affiliazione convoca gli altri calabresi nella sua cella: «Ho comprato una torta dallo spesino in carcere, ho dato una fetta di torta ai paesani per festeggiare». Nocera è soprattutto un trafficante di droga, non sa molto delle regole della ‘ndrangheta. «Nel 2009 rividi Vona, mi ha rimproverato perché non partecipavo alle riunioni. Mi disse: “Guarda che il sole scalda chi vede”. Gli chiesi di scrivermi un po’ di regole, perché io non le conoscevo. Mi disse: aspetta un po’ perché adesso cambiano tutte». Pochi mesi dopo arrivò il blitz Infinito, Vona finì in carcere e le cosche lombarde vennero commissariate dalla Calabria. «Un giorno sono entrato nel bar Arcobaleno di Bulgorello (frazione di Cadorago, ndr) ho detto “buonasera a tutti”. Il giorno dopo sono stato richiamato perché ai cristiani bisogna andare a stringere la “paletta” , la mano, a uno per uno. Avrei dovuto partecipare alla vita del locale, fare le mangiate con gli altri affiliati…».

Negozi, imprese, bar e ristoranti, le cosche tra Milano e Como controllano territorio e imprenditoria: «C’è gente che va a lavorare e che poi gli piace la ‘ndrangheta, gli piace il rispetto ed essere affiliati – racconta il pentito -. Qui uno che ha fatto un reato non lo trova, perché è gente che dal lunedì al sabato va a lavorare e poi alla domenica fanno i malandrini».

Nei verbali si parla di omicidi (quello di Ernesto Albanese e di Salvatore Deiana) e di tradimenti: «Corretti non siamo con nessuno, siamo tutti malviventi e gente di galera». Ma ci sono anche episodi che sfiorano, per quanto possibile, il comico: «Bruno Mercuri è un mio parente, è il marito di mia cugina: a casa non ha neanche il permesso di andare in bagno se non vuole la moglie. Fuori fa il malandrino, però a casa deve mettere le pantofole».
Nel Comasco c’è un boss storico, Salvatore Muscatello, capolocale di Mariano Comense, «l’unico che ha il crimine», ma anche figure influenti e ancora in libertà come l’imprenditore «Bartolino Iaconis» che dopo l’omicidio di Franco Mancuso (2008) «si è ritirato, perché, mi diceva: “è quattro anni che ho dietro la Boccassini”». Ma, chiedono i pm, dalla ‘ndrangheta si esce solo da morti? «Se vuoi “ti ritiri in buon ordine”, facendoti da parte». C’è chi, infatti, dopo gli arresti degli anni Novanta non ha più voluto aver niente a che vedere con le cosche, pur essendo stato affiliato: «Mio zio apparteneva alla ‘ndrangheta, poi ha pagato e non ha più voluto. Se a casa arrivava Chindamo, capo di Fino Mornasco, suo figlio aveva ordine di dirgli che non c’era e lui era dietro le tende». E dalle cosche si può anche stare lontani: «Quando Chindamo chiese a Pasquale Sibio di far affiliare il figlio Simone lui rispose “Mio figlio lascialo stare”».
Gli equilibri mutano di continuo. Allo stesso Nocera è stata offerta più volte la possibilità di «aprire un locale», una cellula della ‘ndrangheta: «Mi dissero: “Te lo facciamo aprire qua a Lurate Caccivio, ti pigli a chi vuoi tu…”». Ma il 46enne rifiuta: «A me i casini non piacciono, a me piace stare nell’ombra». Nocera traffica droga con la Svizzera («Vendevo a 55 mila franchi») e cede una Bmw a un politico albanese in cambio di «dritte» sul traffico di droga. «Quando nella cucina di una pizzeria venne ucciso Deiana i killer gli dissero: “Questa è l’ultima alba che vedi”. Lui rispose: “sì”». Poi arrivarono le coltellate: «Ma lui non moriva mai, forse era per la cocaina che c’aveva in corpo».

(fonte)