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Disabituati alla bellezza

(Post di Gianni Biondillo e Marco Belpoliti per Nazione Indiana)

Come è andata a finire con l’Area ExEnel

di Gianni Biondillo e Marco Belpoliti

enel1Nel gennaio del 2012 su questo blog era apparso questo articolo. Altri in contemporanea ne uscirono su vari blog e quotidiani, a firma di Marco Belpoliti, Luca Molinari, Marco Biraghi, etc.

Sollevavano un problema: la costruzione nell’area di fronte al Cimitero Monumentale di Milano di due edifici fuori scala, di un albergo inutile e di un parcheggio sotterraneo di 250 posti camuffato da piazza in una zona di rispetto architettonico, con un progetto che lasciava molto a desiderare dal punto di vista estetico e urbanistico. Ne era nato un dibattito (vedi ad esempio qui) che aveva coinvolto giornali, architetti, intellettuali, politici. La questione si era trasferita, dopo varie vicissitudini e discussioni, nelle aule del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, che aveva bocciato il ricorso del gruppo di cittadini che si erano organizzati nella sigla Area Ex Enel con un suo sito.

Ora sull’intera materia si è espresso il Consiglio di Stato (Sentenza Ex-Enel.1), dando ragione ai cittadini che hanno sollevato il tema della legittimità della scelte della giunta Moratti, prima, e Pisapia, poi. Tutto questo è succintamente spiegato nella lettera che segue indirizzata a “il Corriere della Sera” che, unico giornale milanese, ha dato alcuni giorni fa con un ampio articolo notizia della sentenza, intervistando l’assessore all’Urbanistica del Comune di Milano e vice-sindaco, Ada Lucia De Cesaris, sostenitrice della scelta urbanistica e giuridica bocciata dal Consiglio di Stato. Ora che Milano è sotto i riflettori dell’intero paese per l’apertura imminente dell’Expo a maggio, vale la pena di tornare a riflettere su questo caso (60 milioni di euro investiti da privati che ora non potranno proseguire i lavori iniziati) che ripropone le questioni della gestione politica delle nostre città, della partecipazione dei cittadini e della bellezza architettonica.

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enel2Su queste pagine giorni fa è apparso un lungo articolo sul blocco del cantiere Ex Enel. Il Consiglio di Stato ha dichiarato l’intera operazione illegittima, ha bloccato l’intero cantiere, dopo il ricorso intentato da alcuni cittadini. Quei cittadini siamo noi, ed è giusto che spieghiamo le ragioni del ricorso, e come si è arrivati a questo punto.

Scriviamo per spiegare ai lettori – ai milanesi e non solo a loro – cosa succede in città, e non tanto, come si usa in questi casi, per mandare messaggi a qualcuno.

Proviamo a raccontare brevemente la storia, per aiutare tutti a capire. L’area di fronte al Cimitero Monumentale, di ex proprietà dell’Enel, e dunque pubblica, molti anni fa fu svenduta a una società privata. Dopo lunghi anni di abbandono, e poi di occupazione da parte del centro sociale Bulk, durante l’amministrazione di Letizia Moratti, alcuni imprenditori decisero di costruire degli immobili residenziali.

Per fare questo, il Consiglio Comunale di allora (Moratti) approvò una delibera che modificava le cubature edificabili, triplicandole. In un colpo solo quel terreno, comprato per 10, valeva 300.

Per trasformarle in area residenziale, edificabile, e per aumentare le cubature consentite per legge e concedere le concessioni, l’amministrazione comunale si avvalse dello strumento del “programma integrato di intervento”, uno strumento che, nel diritto italiano, è consentito solo ed esclusivamente in casi di evidente interesse pubblico e strategico per la città.

Anni dopo la giunta Pisapia, durante un assolato agosto di quattro anni fa, tra i suoi primi provvedimenti importanti, riportò in consiglio comunale la delibera e la approvò: senza nessun comunicato stampa, e senza che la notizia venisse riportata da alcun giornale. Una procedura che, vista l’importanza dell’operazione riguardante una zona centrale della città, risultava quantomeno anomala.

Il progetto approvato prevedeva, in tre isolati situati di fronte al Cimitero Monumentale, il luogo più visitato dai turisti dopo il Duomo, tre palazzoni di più di 10 piani ciascuno, in un quartiere di edifici di 4 piani al massimo; edifici ad uso residenziale, brutti come raramente possono esserlo: talmente brutti da far apparire al confronto l’edilizia di Quarto Oggiaro come dei palazzi del Bernini.

Alla notizia di questo scempio, un gruppo di abitanti del quartiere e alcuni intellettuali, scrittori, architetti, ha provato a intervenire. Abbiamo chiesto di incontrare la proprietà, il Comune, cercando il dialogo, sostenendo che andava bene il profitto economico dei privati, ma che l’operazione avrebbe potuto essere un po’ meno spregiudicata, contenere qualche spazio pubblico, e concedere qualcosa alla qualità architettonica. Non chiedevamo di scomodare grandi architetti, semplicemente di evitare il ricorso in pieno centro storico a un’edilizia così sfacciata e imbarazzante. In sostanza chiedevamo l’adozione di una logica progettuale moderna, non tre palazzoni da edilizia speculativa.

Il Comune di Milano non ci ha voluto dare ascolto. Lo stesso atteggiamento hanno mantenuto i proprietari del terreno. Entrambi ci hanno detto soltanto di pure loro causa, che tanto l’avrebberio vinta.

Soltanto l’impresa costruttrice di una parte degli edifici si è mostrata invece disponibile, modificando le facciate di loro pertinenza in corso d’opera, e ridisegnando un piccolo parco. Da parte loro si trattava di un impegno ulteriore, che andava oltre il loro immediato interesse, e quindi da considerare assolutamente apprezzabile.

Avendo quest’unico interlocutore, ovviamente non trovammo un vero accordo. Il vero soggetto in grado di imporre un interesse pubblico all’area, vale a dire il Comune, mancò invece all’appello. Rimanendo convinti che l’operazione fosse sbagliata sotto il profilo architettonico, politico, urbanistico, e legislativo, e non riuscendo a ottenere altri risultati se non quello – comunque importante – di far riprogettare gli spazi aperti, fummo costretti a non ritirare il ricorso in tribunale.

Oggi il Tribunale di Roma ha dichiarato l’intera operazione illegittima, in quanto priva del presupposto di un interesse strategico e pubblico. Ci ha dato ragione. Una pessima notizia, a ben vedere. Non soltanto perché ora il progetto è diventato un problema, ma soprattutto perché non eravamo e non dovevamo essere noi i paladini dell’interesse della città.

Non debbono essere i privati cittadini a vigilare sulla legittimità delle operazioni immobiliari, sulla qualità architettonica e sul rispetto delle norme urbanistiche. È un ruolo che spetta alle istituzioni.

Avere ragione non ci interessa: ci interessa, così come sin dall’inizio, che si costruisca bene, in modo sensato, intelligente, corretto, restituendo alla città vivibilità e bellezza.

Ci interessava allora, e ci interessa ancora di più adesso. Adesso che c’è un “buco” nel cuore della città, e non vediamo l’ora che questa sia l’occasione per dare a questa zona importante della città una soluzione degna di Milano. Soprattutto alla luce dei numerosi fallimenti urbanistici di questa città.

Ora non possiamo che augurarci che questo “buco” sia l’occasione per ripartire da una logica diversa, con un piglio diverso, con un orizzonte progettuale più alto e di più ampio respiro. L’orizzonte legittimamente alto e ambizioso di disegnare e pensare la città.

Si tratta di un compito arduo, che spetta in primo luogo al Comune di Milano. Speriamo che questa volta ci provi.

Marco Belpoliti
Gianni Biondillo
Marco Biraghi
Paola Lenarduzzi
Roberto Marone
Luca Molinari
Alberto Saibene

(pubblicato precedentemente su Il Corriere della Sera – Milano, il 22 marzo 2015. Questo post è da oggi on line anche su DoppioZero. Le vignette sono un regalo di Guido Scarabottolo)