Platì, Calabria, Italia. Paese di ‘ndrangheta, qui comandano gli uomini del clan Barbaro nonostante molti di loro abbiano base nella lombardissima Buccinasco. A Platì le elezioni non si terranno: nessun candidato a sindaco. La politica abdica nei suoi territori più bui. Come si chiama: resa. Si dice resa. Ed è roba da omuncoli.
La politica, a queste latitudini, non c’è. I partiti non esistono se non quando devono chiedere i voti per le regionali. La legge è quella della famiglia Barbaro e delle altre cosche mafiose. Il 27 marzo 1985 la ‘ndrangheta ha ucciso il sindaco Domenico Demaio. Da allora non è cambiato nulla. Le amministrazioni comunali vengono sciolte per mafia. Negli ultimi 12 anni per tre volte la prefettura ha inviato i commissari che gestiscono l’ordinario. Passano diciotto mesi e si ritorna a votare. Poco dopo, di nuovo la prefettura segnala che i boss condizionano l’attività dell’amministrazione comunale e chiedono lo scioglimento per infiltrazioni mafiose. Questa volta però è diverso. A fine maggio a Platì non si voterà. Non è stata presentata nessuna lista per le prossime elezioni comunali. La polemica riguarda il centrosinistra calabrese e, soprattutto, il Partito democratico di Renzi che, alle ultime regionali, è stato il più votato. La coalizione che ha sostenuto il governatore Mario Oliverio è arrivata al 77% dei voti mentre solo il Pd ha superato il 22%. Numeri che, in un Paese normale, avrebbero obbligato un partito a scendere in campo per dare un’alternativa a una cittadina dove i commissariamenti non hanno funzionato, una cittadina che non ha futuro se lasciata in mano a trafficanti di cocaina e famiglie mafiose.
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