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Le minacce che partono dall’anticamera di un Presidente di Corte d’Appello, la strana scorta e lo strano lodigiano

foto8C’è un’inchiesta della Procura di Milano che lambisce l’anticamera del presidente della Corte d’appello, Giovanni Canzio. Tutto è cominciato il 10 gennaio 2013, quando una giornalista del Corriere della sera, Elisabetta Andreis, riceve una telefonata di minaccia: “Lei, signora Andreis, dove si trova in questo momento? È qui in tribunale? Non si preoccupi, anche noi potremmo farle delle domande… E lei con la sua famiglia dove si trova? E al lavoro dove va? Lei ci risponda, o rispondiamo noi”.

Poi il misterioso interlocutore interrompe la comunicazione. Andreis va alla polizia e denuncia l’accaduto. Sta conducendo per il Corriere un’inchiesta sulle aste giudiziarie e su una gara indetta dalla Camera di commercio di Milano per la gestione della pubblicità e la pubblicazione sul web degli avvisi d’asta e per la preparazione del processo civile telematico. La gara, avviata nel 2012 con fondi Expo per il Tribunale di Milano, era stata vinta dalla società Edicom Finance con un ribasso da brivido (72,5 per cento) e in condizioni che avevano insospettito l’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone.

Per capire meglio i termini della questione, la giornalista aveva contattato via e-mail anche Canzio, che le aveva però fatto rispondere di non essere disponibile. Poi era partita la telefonata minacciosa. Ed erano scattate le indagini, affidate al pm Paolo Filippini. Arriva subito la prima, imbarazzante sorpresa: il pm scopre che la chiamata è partita da un telefono fisso dell’anticamera di Canzio, quello a disposizione del capo scorta del presidente della Corte d’appello, il brigadiere dei carabinieri Roberto Scapoli, il quale, secondo i tabulati telefonici, risulta in contatto con titolari di società attive nelle vendite giudiziarie. La seconda sorpresa è ancor più sconcertante: in quell’anticamera staziona spesso un amico di Scapoli, Giuseppe Frustaci, che si qualifica come agente della Questura e lo sostituisce quando è assente. Scapoli a Palazzo lo presenta come “collega”. Ma dalle indagini emerge che Frustaci non è affatto un poliziotto: è stato, al massimo, guardia giurata volontaria per la vigilanza ittica e venatoria a Lodi. In compenso, un rapporto dei carabinieri lo dipinge come un personaggio che stringe rapporti con appartenenti alle forze di polizia e al personale amministrativo del Palazzo di giustizia di Milano, dai quali riceve notizie, anche riservate, che poi rivenderebbe ad agenzie investigative private.

Oggi Frustaci è titolare di un’impresa edile, la Gf Costruzioni. Ma mentre non risultano sue attività nell’edilizia, sembra darsi molto da fare nel mondo dell’intelligence. Nel 2007 è stato condannato dal Tribunale di Lodi al pagamento di 2.400 euro di ammenda per aver fatto l’investigatore privato senza le autorizzazioni. Aveva addirittura condotto una strana bonifica presso gli uffici della polizia provinciale di Lodi, per verificare la presenza di “cimici”.

Secondo una relazione della Digos, si fa passare per informatore dei servizi segreti. Altre volte, si presenta come primo dirigente o come maresciallo dei carabinieri della Direzione investigativa antimafia (Dia) di Milano. Oppure si spaccia per uomo dei servizi, proponendo scambi d’informazioni a poliziotti e carabinieri veri. Nel 2013, la Corte d’appello di Brescia lo condanna a 1 anno e 4 mesi per aver rubato da un’armeria, la “Galleria del tiro” di Lograto, Brescia, diverse armi comuni da sparo. Malgrado questo curriculum, è spesso accanto a Scapoli, nell’anticamera di Canzio, il magistrato più alto in grado del Palazzo di giustizia di Milano.

Il pm Filippini nel settembre 2014 iscrive Scapoli nel registro degli indagati. Due mesi dopo aggiunge anche Frustaci. Reati ipotizzati: minacce (nei confronti della giornalista del Corriere), concorso in turbativa d’asta e rivelazione di segreti d’ufficio (per l’anomala vittoria della Edicom Finance). Il magistrato chiede al gip di poter intercettare i due indagati, ma il giudice per le indagini preliminari Anna Maria Zamagni nel novembre 2014 ipotizza che in questo procedimento Canzio, pur non essendo parte offesa, possa essere danneggiato dal reato: dichiara dunque la propria incompetenza e una parte degli atti va così alla procura di Brescia, competente per le vicende che riguardano i magistrati milanesi. Resta a Milano l’indagine sulle minacce alla giornalista del Corriere. E l’imbarazzo per una brutta storia che si è consumata, a sua insaputa, nell’anticamera del presidente Canzio e che ancora non è arrivata alla parola fine.

(clic)