Vai al contenuto

Qui dove la stuprata risarcisce lo stupratore

Deborah Dirani racconta una storia che svela la differenza tra la giustizia e i meccanismi della legge:

stuproLa realtà è molto più semplice delle opinioni: lui ha quasi 60 anni, non si chiama Humbert, lei appena 15 e non si chiama Dolores. Nabokov non abita in Romagna e gli abusi sessuali su un minore sono un reato. Lo riconosce anche il Tribunale che giudica colpevole l’insegnante e, al terzo grado di giudizio, lo condanna a 3 anni: in realtà in galera ci sta appena 3 mesi ma deve risarcire alla famiglia della sua amata ex studentessa 65mila euro.

Paga e stai zitto: hai schiantato una ragazzina che non riesce a vivere normalmente, che si arrampica alle pareti lisce della sua esistenza e scivola giù, sempre più giù ad ogni tentativo di risalire. 65mila euro sono niente a fronte del dolore che hai provocato. Sono un modo cinico che la giustizia ti concede per riparare al disastro, non sono risolutivi, ma sono simbolici: svuota i conti correnti e ripulisciti la coscienza. Ad avercela, una coscienza, perché il professore all’improvviso “si sarebbe spogliato dei propri beni pur di non pagare la provvisionale stabilita per i genitori della giovane“. Dalla sera alla mattina non avrebbe più avuto più un soldo bucato col quale risarcire la sua vittima.

E la giustizia resta immobile. A muoversi sono gli avvocati della ragazza che lo querelano per avere disatteso la disposizione del tribunale. Condannato a un anno e 6 mesi (e qui siamo al secondo grado di giudizio), il prof non paga, ancora. Così non rimane che provare con la giustizia civile alla quale fa appello la famiglia della ragazzina, che intanto sta crescendo con l’orrore nel cuore e l’angoscia nella mente. I giudici sono esseri umani, fallibili per carità, e probabilmente quello che ha sentenziato che non solo il professore non dovesse pagare un soldo, ma che a risarcirlo (per 40mila euro) dovesse essere la famiglia della sua vittima è un degno rappresentante della categoria.

Finisce così che a luglio dello scorso anno, all’indomani di questa farsesca disposizione che di giusto non ha niente e che, essendo stata emessa in sede civile diventa immediatamente esecutiva, la ragazzina, che ragazzina non è più, prenda un foglio e una penna e scriva un po’ di righe dove chiede scusa ai suoi genitori per averli costretti a indebitarsi. Lascia il foglio in camera sua, vicino a dove dondola ciò che resta di lei: un corpo mutilato da un uomo e da un giudice. Si è ammazzata perché si sentiva in colpa. Lei.

L’articolo completo è qui.