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Il mio romanzo avrei voluto scriverlo dieci anni fa

CAVALLINe parlavo giusto qualche giorno fa mentre stavamo rivedendo gli ultimi dettagli prima dell’uscita del mio romanzo (Mio padre in una scatola da scarpe, Rizzoli, esce il 17 settembre, mi raccomando): questo libro è quello che avrei dovuto scrivere dieci anni fa.

Sono nato teatrante ma poi i casi della vita mi hanno portato all’obbligo di difesa. Legittima difesa. Incessante legittima difesa perché un teatrante minacciato non è cosa, non si fa, non piace mica solo alla mafia ma anche e soprattutto a coloro che dell’investigazione ne dovrebbero fare un mestiere e invece si occupano di relazioni accondiscendenti per i propri superiori. Alla fine molto di quello che ho scritto e portato in scena in questi anni è servito più a difendermi piuttosto che raccontare. Fino a questi ultimi mesi.

Quando ho deciso che davvero non vale la pena spendersi per giustificazioni che sono orme leggere, passibili di qualsiasi lettura, mentre i critici per pregiudizio hanno la mano pesante e lo sguardo strettissimo. Non è propriamente voglia di piacere a tutti i costi, qualcosa di più destruens: cercare di abitare dentro lo spazio disegnato e arredato dagli altri. Ecco: ho passato gli ultimi dieci anni a mentre mi convincevano che avrei dovuto chiedere scusa. Per cosa, poi. Per l’etica calcolata che qualcuno non può permettersi di farsi sporcare.

Ho scritto un romanzo perché è il mio lavoro, quello che non ho mai avuto il tempo di fare. Raccontare l’ordinarietà di vite quotidiane che si ritrovano comunque, senza fari e senza microfoni sotto la bocca, ad avere l’occasione di essere giusti. Lasciare perdere gli eroi usati come soprammobili e scendere nell’umanità, quella di giorno e lavoro e sudore e contesto e salsa, andare lì dove c’è una poesia, un libro o uno spettacolo che è rimasto incastrato nei meccanismi quotidiani. Avrei voluto avere il coraggio di fottermene già dieci anni fa, raccontare le battaglie degli altri piuttosto che difendere la mia dagli stupidi, perché è lì la bellezza, tra le cose che scavalchiamo per noia e per disattenzione.

Sono in ritardo di dieci anni. Ma ci sono tutti i miei anni dentro.