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Vorrei essere qui. Al rione Sanità.

Mario Gelardi è coraggioso. Mica come i paladini da copertina, figurarsi, piuttosto è coraggioso come lo sono tutti quelli che restano, che vogliono restare, che quando qualcosa puzza decidono di abitarci dentro con l’armamentario per imbiancare le pareti nei loro prossimi cent’anni.

Mario Gelardi è direttore del nuovo teatro Sanità che sta proprio nel cuore del rione napoletano al centro delle cronache in questi giorni. Ci fa teatro, Mario con i suoi, come se fosse a Parigi, nel centro di Milano oppure in un’oasi nel deserto: al nuovo teatro Sanità si crede che tutto ciò che è bello svolge la sua funzione. Senza compromessi: bello per il bello, lavoro come lavoro, apertura come apertura.

Eppure il nuovo teatro Sanità non sta nell’elenco dei teatri che contano, secondo alcuni, perché ha disimparato la mediazione al ribasso. E c’è da capirli. Roberto Saviano ne ha scritto qui:

Il Nuovo Teatro Sanità è una realtà teatrale necessaria che ha sede in una bellissima chiesa sconsacrata, in uno dei quartieri più difficili di Napoli e si mantiene grazie al sostegno di chi crede che al Sud ciò che manca sia soprattutto ascolto, equilibrio e opportunità. Questo sostegno non arriva dallo Stato che ha deciso, tramite il giudizio insindacabile di una commissione di esperti, che la proposta del Teatro non meriti gli “aiuti” statali destinati alle compagnie under 35.

La nuova stagione teatrale (con il contributo importante e non pubblicizzato di qualcuno accusato spesso di lucrare sulla Campania) ha un titolo che è un manifesto sociale: Vorrei essere qui.

E io ho l’onore di aprirla, questa stagione dove la resistenza alla bruttezza è un esercizio quotidiano. Ed è uno dei regali più belli che potessi ricevere. Fateci un salto, credetemi. Alla faccia della messa in scena di chi crede che basti qualche divisa in più per controllare un quartiere.

(ah, questa settimana Mario ha regalato un suo monologo meraviglioso per il nostro numero di Left)

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