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Una lettera a PPP

 La scrive qui Francesco Pecoraro e vale la pena spendere un minuto per leggerla:

Caro Maestro, quando non c’è tensione verso il meglio, tutto va verso il peggio, ogni cosa arretra di qualche casella, ogni istanza di progresso fa un passo indietro, quando non addirittura scompare.

Devo anche informarla che nell’attuale presente, oltre al ristagno e all’arretramento del progresso, si è verificato anche l’arresto dello sviluppo (evoco qui una sua famosa distinzione): il capitalismo italiano arranca in una dimensione arretrata, mentre un mondo ormai quasi completamente cino-americano ci travolge in uno sviluppo tecnologico apparentemente immateriale, di cui lei, morto troppo presto, non può avere la benché minima nozione.

La chiamiamo rivoluzione digitale: le interesserebbe molto.

Il Novecento ha costruito l’hardware del mondo in cui viviamo. Il XXI Secolo ne sta globalmente allestendo il software, che in un futuro prossimo servirà a gestirne anche la più trascurabile molecola. Il processo è appena cominciato, gli esiti sono imprevedibili. Mi scuso per aver usato termini e concetti che lei non può capire e che anch’io capisco poco.

Ma le generazioni nate a ridosso e subito dopo l’anno Duemila, cioè coloro che fanno risalire l’Inizio dei Tempi all’attacco alle Twin Towers del settembre 2001, va a dire i nati dentro il processo di digitalizzazione del mondo – quante cose sono successe dopo la sua morte! –, ecco, di quelli non sappiamo nulla, nessuno sa nulla.

Buona parte di loro (cioè quelli non del tutto emarginati) sembra vivere placidamente in seno al Grande Ceto Medio Occidentale, dando tutto per acquisito, anzi per scontato, non avendogli i padri trasmesso alcuna tensione politica, alcun disagio che non sia economico. Ma anche quest’ultimo ordine di problemi sembrano accettarlo come un dato di fatto, tipo: «il mondo è fatto così, chi sono io per metterlo in discussione?».