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Chi ci ha reso così ciechi di fronte alla mediocrità

Sto lavorando in questi giorni sul polverone che si è alzato in Vaticano (se volete leggermi ne ho scritto qui e qui, intanto) e mi capita di avere a che fare con un pezzo di “classe dirigente” di questo Paese. Per di più la classe dirigente vicina al Papa e che si è occupata della razionalizzazione degli istituti finanziari di quello che è tra i più grossi imperi economici del mondo, con storia secolare e tanta letteratura sulle diverse intelligenze (buone e cattive) che l’hanno attraversato.

Ecco, se dovessi spiegare la sensazione che provo quando rialzo la faccia dalle carte, i documenti e le infinite giustificazione di chi mi capita di interpellare devo dire che la desolazione mi proviene soprattutto dal basso livello etico ma anche intellettuale di alcuni pezzi dell’intellighenzia alto borghese che infesta i salotti romani: persone arrivate ad occupare vertiginosi posti di potere per una serie di circostanze dettate semplicemente dalla prossimità fortunata e sincrona di qualcuno, ruoli ricoperti senza la benché minima professionalità, crocchi di plasticosi pupazzi nobiliari che sarebbero incapaci di elaborare un qualsiasi ragionamento senza la stampella servile di un codazzo di uditori, famelici frequentatori di una Chiesa vissuta come circolo esclusivo.

C’è un pezzo di Roma che è uno zoo di inetti investiti dalla fortuna di avere un merito che è solo censo o solo sangue. Eppure questa mandria riesce ad ottenere credito, a volte anche stima e addirittura timore reverenziale.

Ma esattamente quando abbiamo smesso di essere vigili di fronte alla mediocrità?