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A che punto siamo con il reato di tortura (indietro, molto indietro)

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Attende la calendarizzazione per la discussione nell’Assemblea del Senato il disegno di legge d’iniziativa parlamentare che introduce nel nostro ordinamento uno specifico delitto di tortura, pur configurato, diversamente dalla maggior parte delle convenzioni internazionali, come reato comune (dunque realizzabile da chiunque e solo aggravato ove l’autore sia un soggetto pubblico). Rispetto al testo votato in prima lettura si registra un significativo peggioramento, dovuto alla molteplicità dei requisiti richiesti per l’integrazione della fattispecie.

Ad esempio a tal fine le violenze o minacce inferte devono essere, oltre che più di una e gravi, anche “reiterate”. Oltre a rendere più difficile la prova del reato, ciò significa che la dignità può dirsi violata solo se lo sia ripetutamente. Oltre al trattamento inumano o degradante, si dovrà provare che l’autore abbia agito “con crudeltà”: quasi impossibile vista la difficoltà di dimostrazione del movente psicologico. Perché il reato sussista, esso dovrebbe produrre, se non “acute sofferenze fisiche” un “verificabile trauma psichico”: anche in questo caso la difficoltà, della prova rischia di vanificare l’applicazione della norma. Tra le possibili relazioni di soggezione che devono caratterizzare il rapporto tra vittima e autore scompare l’affidamento all’altrui “autorità”, escludendo così il reato per quelle situazioni (proprio le più problematiche) in cui la vittima non è stata ancora sottoposta a un provvedimento formale di custodia o, peggio, nei suoi confronti sia stato adottato un atto illecito. Si rischia così di eludere proprio le situazioni nelle quali la vittima è soggetta a un potere tanto più pericoloso quanto più informale o addirittura abusivo.

(fonte)