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Quel poliziotto infedele amico degli Spada ad Ostia

Ne ha scritto Bianconi per il Corriere della Sera e andrebbe tenuto in tasca ogni volta che si finge di non capire punti danni possa produrre un poliziotto (o carabiniere) infedele:

Stavolta il reato contestato non è mafia ma corruzione, solo che ad essere arrestato è l’ ex dirigente del commissariato di polizia di Ostia, che secondo il giudice non poteva non rendersi conto del contesto mafioso in cui operava. E nel quale ha «venduto la propria funzione» a un personaggio considerato vicino prima ad esponenti della banda della Magliana e poi del clan Spada: una fetta importante della criminalità organizzata del litorale romano che, al di là della «qualità giuridica» dei reati, si muove tra intimidazioni, condizionamenti e traffici finiti da quattro anni nel mirino di inquirenti e investigatori.

Il commissario di polizia Antonio Franco incassava «utilità» e giocava «alle macchinette» dei video-poker (forse truccate, per favorire le vincite) nei locali gestiti dal suo amico Mauro Carfagna, a sua volta legato a un giovane esponente degli Spada, in cambio di informazioni riservate utili a tenerlo lontano da controlli e guai giudiziari.
Questa la tesi del pubblico ministero Mario Palazzi e del procuratore aggiunto Michele Prestipino che, a prescindere dal capo d’ imputazione, torna a sottolineare l’ aria di mafia che si respira insieme a quella del mare alle porte di Roma.
Di cui, nella ricostruzione della giudice Simonetta D’ Alessandro che l’ha mandato agli arresti domiciliari, il commissario Franco avrebbe approfittato attraverso una frequentazione «gravemente inopportuna, sospetta e finanche larvatamente solidale». Relazioni pericolose in un contesto di «riciclaggi e autoriciclaggi sintomi di mafiosità», espressione di «un evidente legame corruttivo».

A maggio la corte d’appello ha annullato le condanne per associazione mafiosa pronunciate in primo grado contro l’altra famiglia della malavita di Ostia, i Fasciani, sebbene nel frattempo la corte di cassazione avesse confermato (nello spezzone di processo celebrato con il rito abbreviato) la bontà di quell’accusa.

Subito dopo Carmine Spada era stato condannato per estorsione «aggravata dal metodo mafioso», e solo pochi giorni fa all’ imprenditore del luogo Mauro Balini sono stati sequestrati beni per 450 milioni di euro a causa dei presunti legami con un noto narcotrafficante, nonché opacità imprenditoriali legate al porto di Ostia e altre attività; il suo nome è comparso anche nell’inchiesta sul «Mondo di mezzo» di Buzzi e Carminati per i rapporti con Luca Gramazio, l’ex consigliere regionale ritenuto un «terminale politico» della ipotizzata associazione mafiosa.

Adesso ecco il nuovo capitolo del poliziotto «a libro paga», secondo uno dei canovacci più classici del crimine che trova appoggi nelle istituzioni: l’ affitto di una casa in cui s’incontrava con un’amica come corrispettivo per le «soffiate» utili a salvaguardare l’amico gestore di sale giochi, presunto «socio occulto» degli Spada e forse riciclatore del clan. Senza accorgersi però di essere sotto controllo da parte dei suoi colleghi della Squadra Mobile di Roma, che ne intercettavano incontri e telefonate.

L’11 gennaio scorso, quando già era stato trasferito per un’ altra indagine a suo carico, Franco avvertì Carfagna mentre i poliziotti stavano andando a fare un controllo in uno dei locali: «Stanno a venì là…Stanno in borghese… Metti il cartello “bar in allestimento” e spegni i televisori».
Carfagna si mosse immediatamente, ma gli agenti erano già lì e stavano identificando, tra i presenti, proprio Ottavio Spada. Al che Carfagna richiamò Franco: «Fallo lascià perde». Poi dal bar lo rassicurarono: «Lo hanno mandato via, non gli hanno fatto niente…».
Pochi giorni dopo, a fronte di uno sfratto esecutivo in un altro locale di Carfagna, il commissario telefonò a un’ assistente amministrativa: «Domani ci dovrebbe essere uno sfratto di un amico mio… non dovremmo farlo… una sala giochi …».
A cose fatte fu Carfagna a chiamare il poliziotto: niente sfratto, «per assenza della forza pubblica». Scene di ordinaria corruzione in un ambiente dove la mafia è ammessa da una sentenza e smentita da un’ altra, salutata con giubilo (quest’ ultima) dal commissario finito agli arresti. «Che spettacolo, capito? È decaduta la mafiosità, otto assoluzioni su diciotto, sai che vuol dire?», lo informò l’ amica. E il poliziotto: «Tutto un teorema… una massa de stronzi, questa è la verità».