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A Capalbio non è sinistra, semplicemente.

Che agosto questo della sinistra italiana: prima il deputato Sannicandro (SEL) che dichiara di non essere mica una metalmeccanico (e poi ovviamente ci dice di essere stato frainteso e poi che sono demagoghi quelli che lo attaccano, come se un semplice “scusa” fosse troppa fatica) e poi l’intellighenzia sinistra di Capalbio che inorridisce per i rifugiati arrivati a sporcare la vista mare. «La sinistra non sa più comunicare» scrive qualcuno crucciandosi di presunti arrugginimenti di presunte neosinistre. E se fosse tutto molto più semplice? E se semplicemente non fossero di sinistra questi che si spacciano come intellettuali (o parlamentari) imbolsiti da se stessi?

Se coloro che dovrebbero rappresentare la categoria dei metalmeccanici (per rimanere sull’esempio, ma vale per tutti) non possiedono più il vocabolario del lavoro, del reddito e dei diritti che si fa? Si decreta il fallimento della rappresentanza, semplicemente. Si alzano le mani e si dichiarano falliti i membri della classe dirigente. Semplice. E invece? E invece si leggono editoriali e opinioni che vorrebbero infilarci l’idea opposta: sono sbagliati i metalmeccanici che se la prendono, dicono loro. Che schifo di metalmeccanici, già.
A Capalbio succede lo stesso: gli esimi sottoscrittori di appelli solidali s’intristiscono per l’arrivo di qualche rifugiato nella nota località vacanziera. Il motivo? Rovinano una delle bellezze d’Italia, dicono loro, e così, senza accorgersene nemmeno aprono a un nuovo concetto di federalismo dell’accoglienza: i poveri vanno con i poveri, gli sporchi con gli sporchi, gli ultimi si accolgono in mezzo agli ultimi o penultimi, i bisogni vanno risolti senza sbrodolare fuori dalla classe sociale in cui emergono. E le difese sono ancora peggio: dicono che rovinano il turismo (e invece Lampedusa evidentemente è fogna, per questi), provano a spiegarci che è questione di rapporto tra abitanti e rifugiati (quindi A Pozzalo dovrebbero esserci un massimo di rifugiati, secondo i loro calcoli) e, per ultimo, abbozzano il solito “io non sono razzista ma”. E su quel ma, al solito, scatta il conato.

(il mio editoriale per Fanpage continua qui)