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Chi è Trump

La sua ultima macchia non è da poco. Ne scrive Francesco Costa (iscrivetevi alla sua bella newsletter sulle elezioni americane qui):

Questa settimana è successa una cosa esemplare di un aspetto importante di questa campagna elettorale. Uno dei due candidati è stato messo in difficoltà dalla sua fondazione di beneficienza.

La storia è questa: nel 2013 il procuratore generale della Florida stava valutando l’ipotesi di aprire un’indagine giudiziaria legata al candidato in questione. Dopo mesi di ipotesi e valutazioni, il procuratore generale della Florida aveva deciso di non aprire nessuna inchiesta. Questa settimana è venuto fuori che quattro giorni prima di annunciare la sua decisione, il procuratore aveva telefonato al candidato e gli aveva chiesto una donazione per la sua campagna elettorale (negli Stati Uniti i pm vengono eletti). Ed è venuto fuori che quattro giorni dopo l’annuncio del procuratore che non ci sarebbe stata nessuna inchiesta, il candidato ha effettivamente donato 25.000 dollari al procuratore: peggio ancora, non l’ha fatto personalmente ma attraverso la sua fondazione benefica, mascherandolo nei bilanci perché le fondazioni benefiche non possono fare donazioni politiche. Quando l’agenzia delle entrate se n’è accorta, gli ha imposto una multa.

È uno scandaletto mica male, no? Probabilmente non ne avete sentito parlare. E probabilmente avete capito che il candidato di cui si parla non è Hillary Clinton ma é Donald Trump.

La storia è vera, così come ve l’ho raccontata: la procuratrice in questione è Pam Biondi della Florida, il caso è quello legato alle truffe della Trump University. Ed è una storia che da sola è cento volte più grande e più grave di quelle che sono venute fuori riguardo la fondazione Clinton: è una storia, per cominciare. Riguarda cose che sono effettivamente successe, assegni che sono stati effettivamente staccati, inchieste che non sono state aperte, invece che basarsi semplicemente su domande aperte e teoriche su quanto chi faceva una donazione ai Clinton voleva farseli amici.

Se non ne avete sentito parlare, non è per un qualche complotto dei giornalisti ma per un meccanismo che si è consolidato in questa campagna elettorale, e di cui Trump è stato bravo ad avvantaggiarsi. Il fatto che gli elettori si fidino pochissimo di Hillary Clinton, il fatto che sia stata coinvolta negli anni in un discreto numero di scandali e storie sgradevoli, ha reso i media attentissimi e abilissimi a scandagliarne la vita e gli affari, e a riportarne elementi e dettagli in modo da enfatizzare punti di vista scettici e diffidenti: e se poi non emerge di concreto, come è stato per le email o per la Clinton Foundation fin qui, rimangono “dubbi”, “questioni di opportunità”, “scarsa trasparenza”, “opacità” e cose del genere.

Trump ha usato a suo vantaggio il meccanismo opposto. Da mesi dimostra di essere capace di dire qualsiasi cosa e insultare chiunque, persino le madri dei soldati morti. È stato accusato – sia in tribunale che fuori – di reati gravi, di truffe, di corruzione, di bancarotte fraudolente: niente che abbia mai lontanamente sfiorato Hillary Clinton. Si è messo in imbarazzo in cento e uno modi diversi. Tutto questo probabilmente alla fine gli farà perdere le elezioni, non è che non conti: ma intanto ha abbassato l’asticella. Su questo fronte, gioca in discesa. Trump va in Messico, legge un discorso da un gobbo e torna in America? I giornali scrivono: beh, che colpo da maestro. Quanto è stato serio e presidenziale a non prendere a pizze in faccia il presidente del Messico e non sputare in un occhio a un messicano a caso per strada. Trump trucca il bilancio della sua fondazione per dare dei soldi alla procuratrice che non l’ha indagato? Non importa. Nessuno è davvero sorpreso. Trump stesso ha rivendicato più volte di avere usato i suoi soldi per far sì che i politici gli dessero una mano.