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Referendum: ecco perché la riduzione dei costi è solo uno spot

(di Alfonso Celotto, professore di Diritto Costituzionale)

In questi giorni è iniziata una accattivante campagna d’informazione a favore del Sì al referendum costituzionale. Cartelloni nelle città, messaggi sugli autobus, post sui social network che proclamano:
“Vuoi ridurre i costi delle regioni?”
“Vuoi diminuire le poltrone delle politica?”
“Vuoi aumentare la partecipazione dei cittadini?”
“Vuoi maggiore autonomia per le regioni virtuose e un rilancio del sud?”
E così via….

Sono tutte domande a cui è difficile, forse impossibile, rispondere No. Peccato che queste appetibili promesse non siano in alcun modo legate alla riforma costituzionalesu cui saremo chiamati a votare il 4 dicembre. Infatti, andando al contenuto della riforma, ci si accorge agevolmente di come siano tutte informazioni parziali o ingannevoli:

La riforma costituzionale incide solo marginalmente sui costi delle regioni. Oggi le regioni si stima che costino 208 miliardi l’anno (dati Cgia di Mestre). La riforma, dal punto di vista dei costi, pone un tetto alle indennità dei consiglieri regionali. Ma si tratta di un risparmio davvero infinitesimale. Infatti non si toccano i costi dei Consigli regionali (che, si dice, costino circa 1 miliardo l’anno), ma si incide soltanto sulle indennità dei consiglieri, corrispondenti invece a 230.000 milioni nel complesso (dati lavoce.info). Ipotizziamo che la riforma dimezzi queste indennità: arriviamo a un risparmio di 115 milioni, che in percentuale sui 208 miliardi vale lo 0,00056 %. Davvero possiamo dire che riduciamo i costi delle regioni?

Prendiamo le poltrone della politica. Attualmente in Italia abbiamo 945 parlamentari, 15 ministri, 8 vice-ministri, 35 sottosegretari, 20 presidenti e 250 assessori regionali, circa 1.100 consiglieri regionali, 8.094 sindaci e all’incirca 120.000 consiglieri e 35.000 assessori comunali, oltre ai 65 membri del Cnel. Senza voler contare società miste e partecipate. La riforma elimina 215 senatori e i consiglieri Cnel, per un totale di 280 poltrone. Il totale delle attuali poltrone è di 165.524. Così, se ne eliminano 280, cioè lo 0,169 %. Un dato che non ha bisogno di commento.

Passiamo alla partecipazione dei cittadini. Attualmente gli istituti di democrazia diretta languono: la petizione è antistorica, l’iniziativa legislativa popolare ha prodotto leggi in una serie di casi che possono essere contati sulle dita di una sola mano; il referendum abrogativo da almeno 15 anni non riesce quasi mai a raggiungere il quorum di validità. Ora si pone un obbligo di esame parlamentare per i disegni di legge di iniziativa popolare; si rende flessibile il quorum dei referendum abrogativi e si rimanda a una futura legge la possibilità che vengano istituite nuove forme di consultazione referendaria. Bastano questi tre dettagli per ritenere che si sia aumentata la partecipazione dei cittadini, in un’epoca in cui ormai l’unica forma di partecipazione diretta che si può pensare passa attraverso un corretto uso degli strumenti elettronici e informatici?

La maggiore autonomia delle regioni virtuose e il rilancio del sud non hanno alcun appiglio concreto nella riforma. Da un lato, si modifica l’art.116 della Costrizione per consentire forme di autonomia speciale ad alcune regioni che ne faranno richiesta. Peccato che già nel 2001 era stata prevista tale possibilità e che nessuna regione ne abbia mai fatto fino ad ora uso. Quanto al sud, non c’è alcuna previsione specifica nel nuovo testo costituzionale. E non pare certo che sia sufficiente il nuovo riparto di competenze fra Stato e regioni per affrontare davvero (non diciamo risolvere) la annosa questione meridionale.

Potremmo non fermarci qui. E ricordare le promesse di Confindustria su posti di lavoro e punti del Pil che nasceranno magicamente a seguito di una riforma che nulla prevede nel settore economico e che, a ben vedere, semplifica davvero poco.

Ma comunque noi siamo degli inguaribili ottimisti. E ci piace pensare che nelle prossime settimane ci verrà detto che se voteremo Si vivremo tutti felici e contenti. Come nelle belle favole che tanto piacciono ai bambini. Peccato che nella riforma costituzionale Renzi-Boschi non ci sia neppure un accenno al “pursuit of Happiness” che invece venne richiamato nella dichiarazione di indipendenza Usa del 4 luglio 1776.

(fonte)