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Su Ignazio Cutrò (e un governo così poco antimafioso)

Ora è il turno di Ignazio Cutrò. Ne ho scritto stamattina nel mio buongiorno per Left (qui):

«Forse sarebbe il caso di trovare la voglia e il coraggio di dirlo una volte per tutte. Forse davvero dobbiamo smettere in nome della paura (nostra e per gli altri) di fingere una cortesia istituzionale che sta concedendo la peggiore gestione di testimoni di giustizia, collaboratori e più in generale di persone sotto protezioneper minacce mafiose degli ultimi anni. E poiché la politica è una cosa semplice forse sarebbe il caso, una volte per tutte, di porre le domande a chi di dovere: al vice ministro Bubbico, ad esempio, che per ruolo si ritrova a coprire il delicato compito di chi certifica il rischio di chi ha denunciato il malaffare.

Questa volta, per l’ennesima volta, parliamo di Ignazio Cutrò ma il discorso, credetemi, si potrebbe allargare a un ampio spettro di casi e di persone: Cutrò è testimone di giustizia, ha denunciato i mafiosi che gli chiedevano il pizzo per poter continuare a lavorare nella provincia agrigentina. Siamo a Bivona e qui succede, com’è successo a Ignazio, che il tuo vecchio compagno di scuola te lo ritrovi anni dopo dalla parte della mafia a estorcere usando la paura. Ignazio ha denunciato e i mafiosi sono stati arrestati, processati e condannati.

Ma Ignazio Cutrò è un antimafioso non convenzionale: non indossa spille dell’antimafia educata, non ci sta a fare l’amuleto del politico di turno, non si attacca al pantalone dello Stato ringraziando il cielo di essere protetto e soprattutto ha un senso di giustizia che non si rinchiude nelle cose di mafia. Così un giorno s’è messo in testa di rintracciare gli altri testimoni di giustizia come lui e ha cominciato a organizzare i diritti: diritti di essere protetti (questa è facile) ma anche diritto di lavorare, di avere una vita dignitosa, di poter svolgere una vita sociale e famigliare e diritto di guardare negli occhi chi si occupa di loro. Il vice ministro Bubbico, in questo caso.»

 

Oggi abbiamo cercato di muoverci. Qui c’è il comunicato stampa:

«La goccia che ha fatto traboccare il vaso riguarda la decisione del viceministro Bubbico di revocare, senza alcuna motivazione, la scorta al testimone di giustizia Ignazio Cutrò, minacciato dalla mafia agrigentina per le sue denunce sul pizzo.

Solo la lungimiranza del Prefetto di Agrigento ha impedito che si andasse avanti con questa decisione scellerata. Purtroppo non c’è alcuna garanzia sul futuro del programma di giustizia per Cutrò, che pure negli anni ha rappresentato un faro per l’antimafia italiana e per tutti i testimoni di giustizia.

A questo punto vogliamo sapere dal Ministro dell’Interno e dal viceministro quali siano le linee guida di questo Governo in materia di testimoni di giustizia. Quale modello di antimafia si porta avanti se si lasciano soli, oggi più che durante qualsiasi altro Governo precedente, gli uomini e le donne che hanno permesso con le loro denunce di sradicare organizzazioni mafiose e criminali in tutta Italia, mettendo a rischio la propria vita e quella dei propri familiari.

Mai ci eravamo trovati di fronte a una simile sciatteria (nella migliore delle ipotesi) come denunciano gli stessi testimoni: qualcuno ha delle responsabilità precise e ha il dovere di dare risposte precise e non evasive come quelle fornite dal viceministro.

Presto alla Camera faremo una conferenza stampa con i testimoni di giustizia per denunciare questa situazione inammissibile. Vogliamo capire quali criteri guidano le scelte del Governo, chi ha diritto alla scorta e chi no e per quali ragioni. Infine vogliamo avere anche un quadro chiaro di come funziona il sistema di protezione in Italia a tutti i livelli. Non capiamo perché per Ignazio Cutrò, che ancora rischia la vita (vista anche la decisione del Prefetto di mantenere la scorta), si sia valutato di revocare il programma mentre per altre persone (spesso non toccate da vicende mafiose) si ritenga necessario andare avanti.

Vogliamo i numeri e trasparenza sui criteri perché la posta in gioco è troppo importante e facendo così si rischia di demolire più di 20 anni di antimafia e di dare un messaggio assolutamente negativo a quanti ancora oggi, tra mille difficoltà, decidono con le loro denunce di stare dalla parte della legalità

Insistiamo. Non molliamo il colpo.