(intervista a Massimo Villone, costituzionalista)
Roma. È da tempo che le Camere cercano di introdurre nei regolamenti la corsia preferenziale per i ddl più importanti del governo. Con la riforma la novità entra direttamente in Costituzione. Non le sembra positivo professor Massimo Villone?
«No. Mettere in Costituzione il voto a data certa per le leggi consegna al governo in via permanente il controllo dell’ agenda e dei lavori parlamentari, rendendo il Parlamento subalterno, per di più quando se ne riduce la rappresentatività con un Senato non elettivo. Inoltre, crea una rigidità che riduce la capacità del Parlamento di rimanere aderente al sistema politico».
Il voto a data certa dovrebbe ridurre la necessità di decreti e fiducie, strumenti molto abusati finora dagli esecutivi. Non è la mossa giusta?
«No. Si evitano forse decreti e fiducie, ma si mette la mordacchia al Parlamento in altro modo. Una legge pur contestata come il Lodo Alfano sull’ immunità per i potenti, è stata approvata in tre settimane tra Camera e Senato. Senza bisogno del voto a data certa che, paradossalmente avrebbe chiesto tempi maggiori. Oggi un governo con una maggioranza coesa può senza dubbio dettare scelte e tempi. Ma con il voto a data certa si vuole normalizzare la maggioranza di governo, marginalizzando il dissenso. In parallelo, con la clausola di supremazia nel Titolo V si normalizzano le comunità locali. È la “democrazia decidente” del Sì».
Al Senato assemblea e commissioni non dovranno più rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Come si articolerà Palazzo Madama?
«I consigli regionali sono eletti con sistemi maggioritari. Assegneranno i senatori in prevalenza alle forze vincenti nel territorio, spesso con l’ apporto di liste locali o civiche di ambigua identità politica. I senatori non avranno vincolo di mandato, diversamente dal Bundesrat tedesco. Avranno invece le prerogative dei parlamentari per arresti, perquisizioni, intercettazioni. Nella migliore delle ipotesi, una simile assemblea sarà luogo di interessi particolari e di egoismi territoriali».
(Repubblica, 19 Ottobre 2016)