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Il vescovo di Locri rifiuta l’offerta: “soldi che puzzano di ‘ndrangheta”

L’indicazione del vescovo di Locri Francesco Oliva è stata chiara: le offerte che puzzano di ‘ndrangheta non si accettano. E così il parroco di Bovalino, paese della provincia di Reggio Calabria colpito dall’alluvione del 2015, è andato in banca e ha emesso due bonifici, indirizzati ad altrettante ditte che avevano inviato cinquemila euro ciascuna per contribuire a ricostruire il tetto della chiesa matrice sfondato dalla pioggia.

“Con il denaro sporco non si costruiscono chiese, a costo di rinunciare ai lavori”, dice il presule a Repubblica. E i soldi rispediti al mittente in effetti avevano una provenienza quantomeno sospetta. Si tratta di fondi inviati da ditte collegate a Domenico Gallo, arrestato a fine ottobre nell’inchiesta condotta dalla procura di Roma sui grandi appalti, dalla Tav alla Salerno-Reggio Calabria. Nell’ordinanza che ha portato in carcere l’imprenditore calabrese, il giudice ha messo in evidenza “i suoi contatti con soggetti legati alla criminalità organizzata”. E davanti alle carte giudiziarie, il vescovo non ha esitato. “Per me è stata una scelta scontata, ordinaria”, dice. E infatti non sarebbe emersa se non fosse stata accennata durante un dibattito locale e rilanciata dal Quotidiano del Sud.

“Questa vicenda – spiega il presule – è una piccola cosa ma fa parte di uno stile che deve essere chiaro: non si può rischiare di essere conniventi con le mafie e se c’è il sospetto che le offerte siano frutto di affari mafiosi, bisogna rifiutarle in modo fermo”. Oliva lo aveva già affermato nel marzo scorso, quando un pentito aveva rivelato che una chiesa di Gioiosa Jonica era stata costruita con i soldi delle cosche: “Diciamo con chiarezza che non ne abbiamo bisogno”, aveva scritto ai fedeli e sacerdoti del paese.

Anche Giancarlo Bregantini, suo predecessore nella diocesi di Locri, aveva messo in guardia dal meccanismo perverso delle connivenze economiche tra cosche e comunità ecclesiali: “La mafia – diceva – tende insidie ai sacerdoti: se c’è un campanile da aggiustare, è facile che ti arrivi un generoso contributo. Ed è chiaro che ciò sarà ampiamente messo in risalto da chi lo ha dato, anche se non sarà annunciato dal pulpito: è per questo che la scelta di povertà del prete è una forza di opposizione e di resistenza incredibile”.

Ora monsignor Oliva ribadisce: “Non c’è nulla di bello che si possa costruire con i soldi macchiati dal sangue della gente”. E cita due grandi figure della Chiesa che si chiamano Francesco, come lui. Uno è il santo originario di Paola, patrono della Calabria: “Secondo la tradizione – racconta il presule – quando il re di Napoli gli offrì monete d’oro per costruire un convento lui le spezzò e ne uscì proprio del sangue: quello della gente vessata dal monarca”. L’altro Francesco è il Papa, che il 21 giugno 2014 sempre in Calabria, a Sibari, pronunciò la scomunica per i mafiosi: la ‘ndrangheta, disse, è “un male” che “va combattuto, va allontanato”. E aggiunse: “Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro, si apre la strada al peccato”.

Oliva quel giorno era sull’altare alla sinistra di Bergoglio, che lo aveva appena nominato vescovo e inviato a Locri: “Le parole del Papa non lasciano spazio all’ambiguità e devono dare coraggio alla Chiesa”, dice. Coraggio che non è mancato al vescovo, ma è stato condiviso anche dal consiglio affari economici della parrocchia di Bovalino, compatto nel sottoscrivere la decisione. E alla fine l’onestà è stata premiata perché i soldi necessari per ricostruire il tetto sono arrivati lo stesso, grazie al contributo dell’otto per mille e alla generosità dei fedeli.

(da Repubblica, fonte)