Non solo non lo sono, ma sono veri conservatori, invece, quelli che vogliono “conservare” il peggio della politica, lasciando da parte i problemi di fondo; ad esempio: l’attuazione della Costituzione, la garanzia di un lavoro dignitoso, libero e sicuro, la messa in sicurezza del territorio, la custodia e lavalorizzazione dell’immenso patrimonio artistico e naturale di cui può vantarsi il nostro Paese?
La risposta sarebbe facile; ma poiché molti insistono nel sostenere che il sistema prospettato con la riforma è il migliore possibile e che d’altronde non abbiamo indicato nessuna soluzione alternativa, perché siamo solo capaci di criticare, senza riuscire a proporre nulla di serio, tornerò ad una data insospettabile, assai prima della campagna referendaria e riprodurrò qui il testo di una parte del discorso che ho tenuto al Teatro Eliseo, il 29 aprile 2014, quando si stava cominciando a parlare – appunto – della riforma del Senato e l’ANPI decise di entrare in campo, ponendo una questione, essenzialmente, di democrazia
A fronte del progetto di eliminare il “bicameralismo perfetto”, come se fosse il male peggiore del mondo, osservavo che una correzione si poteva certamente fare, differenziando anche il lavoro delle due Camere, ma ad alcune imprescindibili condizioni, che riproduco testualmente qui di seguito, proseguendo poi col ragionamento conclusivo che ritenevo di svolgere e che trovo, oggi più che mai, valido.
Dunque, le condizioni fondamentali erano cinque:
a) che si mantenga il sistema elettivo
b) che si colga l’occasione per trasformare il Senato in una vera camera Alta, per la rappresentatività, per la qualità dei componenti, per il tipo di funzioni
c) che contemporaneamente si faccia una legge elettorale conforme alle indicazioni della Corte Costituzionale, sì da ridare possibilità di scelta ai cittadini, consentendo forme effettive di rappresentanza (senza esclusioni eccessive); limitando il premio di maggioranza a misure ragionevoli.
d) che si indichino forme adeguate per qualificare (nel senso di migliorare, per qualità e competenza) la composizione del Senato (autonomia, competenza culturale e scientifica, non interessi corporativi).
e) che si riservino ai regolamenti parlamentari la disciplina dei tempi ed i casi di priorità, ponendo fine al sistema per cui sono i Governi che dettano tutto, perfino i tempi della discussione, sempre in nome della governabilità.
Quanto ai modelli, la scelta è molto ampia, fra i modelli studiati e quelli sperimentati. Va notato, peraltro:
1. Al di là della conta numerica, che non ha significato, il dato è che tutti i Paesi del G8 sono bicamerali; quindici Paesi del G20 sono bicamerali; quattro miliardi di persone su 5,5 (esclusa la Cina, che fa parte a sè) sono rappresentati da sistemi bicamerali: tutte le grandi democrazie adottano il modello bicamerale (un vero modello bicamerale, nel senso che le due Camere hanno pari rilievo e pari autorevolezza), particolarmente diffuso quanto più il Paese è caratterizzato da complessità;
2. I Senati, in genere, rappresentano uno strumento di equilibrio e di riflessione nei confronti della Camera bassa, espressione della maggioranza di Governo;
3. Un bicameralismo vero (ancorché differenziato) garantisce, secondo la diffusa opinione degli esperti e studiosi, una migliore qualità della legislazione e una maggiore stabilità dell’ordinamento giuridico;
4. Sui metodi di elezione, esistono due grandi criteri: Senatori eletti direttamente e Senatori eletti in secondo grado, a cui si aggiunge il gruppo dei Senatori eletti con sistema misto. L’elezione di secondo grado non è mai occasionale, ma è sempre diretta allo scopo specifico di comporre il Senato con persone elette specificamente per quella funzione. Non è concepibile, in nessuno dei Paesi europei, un Senato di serie B, composto di “volontari” elettiper fare altre cose.
5. Il Senato, come strumento di governo delle complessità, si esprime particolarmente attraverso:- la funzione di Camera di riflessione nel procedimento legislativo (salvo alcune materie di rilievo sulle quali si esprime in forma di compartecipazione).
– la funzione di controllo dell’attività di Governo rispetto alla possibilità di “dittatura della maggioranza”; e di trasparente monitoraggio sull’azione dell’esecutivo, sulle nomine, sugli enti pubblici, ecc.;
– la funzione di raccordo ed espressione delle entità e realtà territoriali che costituiscono lo Stato.
6. I processi di riforma del Senato nell’ultimo ventennio, nei Paesi di maggior rilievo, presentano queste caratteristiche comuni:
a) differenziazione tra i due rami del Parlamento
b) specializzazione “alta” delle funzioni del Senato
c) tendenza ad incrementare la democraticità complessiva
d) garanzia di maggiore efficacia nel rappresentare i territori, nei rapporti
di carattere internazionale e nei diritti fondamentali dei cittadini;
e) esigenza di razionalizzazione nei rapporti con l’esecutivo
f) rafforzamento dell’equilibrio dei poteri
g) esaltazione della funzione di raccordo con le realtà territoriali e istituzionali.
In conclusione, i modelli possono essere diversi, ma hanno molte caratteristiche comuni, tra cui il rafforzamento (con funzioni differenziate) di una Camera che deve essere “ALTA” per qualificazioni e per competenze, deve avere funzioni di equilibrio di poteri, deve consentire una piena rappresentatività dei cittadini.
Tendenze che rendono ancora più evidenti le linee da perseguire nel nostro caso, anziché pensare ad una legge elettorale antidemocratica e anticostituzionale; perché il mix di questi fattori (Senato declassato e legge elettorale che dà un potere quasi esclusivo ad una maggioranza di governo) può essere addirittura disastroso, per gli effetti e gli squilibri che può produrre.
Insomma, sui modelli si può discutere, ma sulle linee di fondo no, perché le stesse tendenze in atto dimostrano che in tutto il mondo avanza l’esigenza di rappresentanza e di democrazia, anche per contrapporsi alle tendenze e spinte di una destra autoritaria e populista.
Su questo dobbiamo attestarci, per avere una riforma del Senato non finalizzata al risparmio, ma ad esigenze di funzionalità e di democrazia.
Abbiamo parlato di una “questione democratica” anche e soprattutto per questo. In tutta Europa avanzano tendenze autoritarie e rigurgiti fascisti o neofascisti; c’è una forte tendenza, in diversi Paesi, a restringere le libertà anziché a renderle effettive. Ebbene, questo è il momento di rafforzare la democrazia, in ogni Paese, non di indebolirla; questo è il momento di assicurare più partecipazione e più diritti ai cittadini, perché facciano sentire non solo la loro voce, ma la forte esigenza di rappresentanza e di sovranità.
Questo era il discorso di due anni fa; l’ho riportato almeno nella parte essenziale, perché costituisce – ancora oggi – la ferma risposta a quanti si vantano di essere innovatori e ci accusano di conservatorismo e di incapacità
Nel frattempo, peraltro, nel corso delle audizioni in Parlamento, durante il cammino della riforma, sono stati ascoltati illustri costituzionalisti, che hanno formulato proposte e fornito indicazioni, ma senza essere ascoltati e presi in considerazione.
Il professor Zagrebelsky mandò una lettera, il 4 maggio 2014, alla Ministra Boschi, col suo parere; e non ebbe -come riferisce in un suo recente libro- alcuna risposta, anche solo in ordine alle proposte alternative che venivano avanzate.
Tutto questo non solo smentisce certe accuse, ma la dice lunga circa le reali intenzioni dei promotori della riforma del Senato.
Carlo Smuraglia, Anpinews – n. 222 – 8/15 novembre 2016