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Ah, a proposito: hanno condannato Nicola Cosentino. E alcuni che lo dicevano innocente sono al governo.

Nove anni di reclusione. E altri due anni di libertà vigilata al termine della pena. Durissima condanna per l’ex sottosegretario Pdl Nicola Cosentino, a lungo coordinatore campano di Forza Italia, accusato di concorso esterno in associazione camorristica. Questa la sentenza della prima sezione collegio C del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduta dal giudice Giampaolo Guglielmo.

Assoluzione solo per un capo d’imputazione residuale, quello relativo allo scambio di assegni e titoli di credito tra esponenti del clan e impresa di famiglia, la Aversana Petroli. Tra novanta giorni apprenderemo le motivazioni. Il pm della Dda di Napoli Alessandro Milita aveva chiesto 16 anni di condanna. La sentenza è arrivata al termine di lunghissimo processo iniziato il 10 marzo 2011 e spalmato in 141 udienze, forse il più lungo mai celebrato con un solo imputato. In cinque anni e mezzo il pm Milita e gli avvocati Agostino De Caro e Stefano Montone hanno formato una lista testi di 300 persone e ne hanno sentite circa 110, di cui 16 collaboratori di giustizia collegati in videoconferenza dai luoghi protetti. Tra i testimoni sono stati sentiti i big del clan dei Casalesi, oggi pentiti di camorra, tra cui l’ex reggente del clan Bidognetti Luigi Guida, Gaetano Vassallo, Anna Carrino, Franco Di Bona, e alcuni tra i leader della politica campana, tra cui l’ex Governatore della Campania Antonio Bassolino, sentito a febbraio 2012 per rispondere a domande sulla gestione del commissariato per l’emergenza rifiuti. Sono stati sentiti anche il suo ex braccio destro Massimo Paolucci, l’ex parlamentare Lorenzo Diana, l’ex ministro dell’Ambiente Altero Matteoli.

Le 199 pagine dell’ordinanza di arresto nei confronti di Cosentino vengono firmate il 7 novembre 2009 dall’allora gip di Napoli Raffaele Piccirillo. Arresto più volte respinto dalla Camera fino al 15 marzo 2013, giorno in cui Cosentino, non ricandidato per decisione di Berlusconi e privo delle guarentigie parlamentari, si costituisce presso il penitenziario di Secondigliano. Dopo qualche mese di carcere e di arresti domiciliari fuori regione, a fine 2013 Cosentino torna libero e si rimette a fare politica. È l’ispiratore di ‘Forza Campania’, gruppo consiliare regionale che intende fare la fronda alla gestione napoletana e campana di Luigi Cesaro e Domenico De Siano, e mettere in difficoltà il ‘rivale’ Stefano Caldoro, all’epoca Governatore azzurro. Ma il 3 aprile 2014 torna in carcere con accuse di estorsione ai danni di un imprenditore dei carburanti, un concorrente dell’impresa di famiglia, la Aversana Petroli, leader di mercato nell’area di Casal di Principe e dintorni. Due anni e due mesi ininterrotti di carcere, terminati il 1 giugno 2016, quando il tribunale revoca la misura attenuandola negli arresti domiciliari a Venafro con divieto di comunicare all’esterno della cerchia dei familiari più stretti.

Cosentino è stato accusato dalla Dda di Napoli di concorso esterno in associazione camorristica. Secondo l’accusa, è stato sin dal 1980 e fino al 2014 il referente politico-istituzionale dei clan Casalesi, dai quali avrebbe ricevuto sostegno elettorale e capacità di intimidazione, e ai quali avrebbe offerto la possibilità di partecipare ai proventi degli appalti del ciclo dei rifiuti e delle assunzioni. L’impianto accusatorio si è concentrato intorno alle vicende della nascita dell’Eco 4 con a capo i fratelli Sergio e Michele Orsi (quest’ultimo ucciso nel 2008 dall’ala stragista del clan di Giuseppe Setola), imprenditori vicini al clan dei Casalesi, nonché società operativa del Consorzio Ce4 con a capo Giuseppe Valente, diventato poi nel corso del dibattimento uno dei principali testi della Procura. L’Eco 4 fu “società a partecipazione mafiosa”, sostiene il pm Milita, Questo il contesto in cui la Procura ha collocato gli sversamenti illeciti nel casertano e fuori regione, e la mancata realizzazione dell’inceneritore di Santa Maria la Fossa. Cosentino avrebbe fatto finta di appoggiare i comitati che si battevano contro l’impianto, per favorire invece un altro progetto. Cosentino avrebbe avuto un controllo assoluto delle assunzioni e degli incarichi all’interno della Eco4.

L’inchiesta giudiziaria prende il via dal pentimento di Gaetano Vassallo, il ministro dei rifiuti del clan Bidognetti. “L’ Eco 4 è una mia creatura, la Eco 4 song’io”, avrebbe detto l’ex parlamentare a Vassallo. A verbale il pentito ricostruisce i suoi contatti e i suoi rapporti con l’ex parlamentare, si sarebbe recato a casa di Cosentino per incontrarlo – ne descrive le stanze agli inquirenti – e discutere di un suo ruolo in una società controllata dalla Eco 4. Vassallo racconta che Cosentino gli risponde no, spiegandogli che in quel momento gli interessi economici dei clan si erano spostati a Santa Maria la Fossa e lì comandava il gruppo camorristico degli Schiavone, che avevano estromesso i soldati di Bidognetti.

Cosentino avrebbe poi cercato di costruire un vero e proprio ciclo dei rifiuti alternativo e concorrenziale a quello ufficiale gestito da Fibe-Fisia-Impregilo attraverso il contratto stipulato con il commissariato per l’emergenza, ovvero attraverso l’Impregeco. Per il pm, Cosentino da un lato aveva un progetto, quello di realizzare il ciclo integrato dei rifiuti nel Casertano, e per questo con loro e con la Impregeco mette in atto un piano. Dall’altro, sfruttava il suo ruolo e le sue relazioni per favorire la camorra in cambio di voti. “La camorra non votò Cosentino e non c’è alcuna prova contro di lui e ci troviamo di fronte ad un vuoto probatorio”, ha invece replicato la difesa composta da Stefano Montone e Agostino De Caro nel corso dell’arringa del 27 ottobre scorso.

I legali hanno messo in discussione l’attendibilità dei collaboratori di giustizia “completamente inaffidabili per le versioni discordanti”. Nell’udienza di oggi si è consumato un ultimo, duro scontro, sulla circostanza che Cosentino nel 2008, poco dopo le rivelazioni dei primi verbali di Vassallo, ha promosso iniziative politiche e parlamentari per creare una sezione Dda a Santa Maria Capua Vetere. Per il pm Milita questo fu un tentativo per “frantumare” il ‘modello Caserta’ della Dda di Napoli che stava ottenendo ottimi risultati nei contrasto ai clan dei Casalesi, e quindi indebolire anche le indagini a carico dell’ex sottosegretario. Un progetto che secondo Milita era sostenuto anche da Donato Ceglie, pm attualmente al centro di varie inchieste giudiziarie, di recente assolto a Roma nel suo primo processo, che all’epoca era sostituto procuratore a Santa Maria ed era legato ai fratelli Orsi. De Caro ha controbattuto: “È una tesi che poggia su una cultura del sospetto che non può approdare a una sentenza emessa in nome del popolo italiano”. Gli avvocati hanno preannunciato ricorso in Appello.

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