Vai al contenuto

L’Onu denuncia violazioni dei diritti umani in Crimea

(di Marco Perduca, fonte)

Dopo un acceso dibattito che ha portato a un numero record si astensioni, la commissione diritti umani dell’Assemblea generale dell’Onu ha adottato una risoluzione che condanna la “occupazione temporanea” della Crimea da parte della Federazione russa accusandola di molteplici violazioni dei diritti umani nella regione.

Il testo, la cui adozione definitiva avverrà a dicembre, denuncia gli abusi e le discriminazioni “contro i residenti della temporaneamente occupata Crimea, compresi i gruppi di tatari”, un gruppo etnico di origine turchica che abita da secoli la penisola. Seppur in maniera diplomatica l’Onu ha quindi condannato l’annessione della Crimea e tutto ciò che ne è seguito.

Nel silenzio immobile della comunità internazionale, e con risibili motivazioni di difesa delle popolazioni russofone in Ucraina, nel marzo del 2014 la Russia si annetté la Crimea dopo che una serie di manifestazioni popolari cacciarono il presidente filo-russo Viktor Yanukovich. Tanto sui sommovimenti di piazza quanto sull’invasione russa della penisola ucraina, ci son state vendute le più varie e dietrologiche leggende a favore e contro, ma da allora non si è tornati indietro.

Poco dopo ultimata l’occupazione della Crimea Mosca formalizzò l’annessione con un referendum farsa che ottenne una maggioranza schiacciante di voti a favore. Negli stessi giorni in cui la marina russa solcava le acque del Mar Nero, nell’Ucraina orientale iniziava una vera e propria guerra di secessione – ancora in corso – che vede la Russia direttamente e indirettamente coinvolta nel tentativo di destabilizzare ampie regioni dell’Ucraina con l’utilizzo di mercenari (anche stranieri).

L’annessione della Crimea da parte di Mosca ha portato all’adozione di sofferte sanzioni internazionali, ma ha anche messo in evidenza quale sia il potere di attrazione che un regime anti-liberale come quello di Putin possa esercitare nei confronti di paesi democratici dove si ritiene che la “legge e l’ordine” siano da preferire allo Stato di Diritto. A più riprese gli europei si son spaccati sull’atteggiamento da tenere nei confronti di Mosca e non pochi movimenti politici europei hanno condonato la reazione russa, a volte anche con motivazioni anti-naziste!

Il progetto di risoluzione presentato al Palazzo di Vetro dall’Ucraina è stato approvato con 73 voti
a favore, 23 contrari e 76 astensioni. Gli europei col Regno Unito e gli Stati Uniti sono tra i paesi che hanno votato a favore della risoluzione mentre Russia, Armenia, Bielorussia, Venezuela, Siria, Iran e la Cina son tra quelli che si sono opposti. Gli astenuti fanno principalmente capo al gruppo dei cosiddetti non-allineati.

Il testo esorta la Russia a porre fine immediata a “detenzioni arbitrarie, tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti, e di revocare tutte le leggi discriminatorie”. Inoltre s’invita Mosca a liberare gli ucraini che son detenuti illegalmente, e di consentire agli enti culturali e religiose per riaprire e a revocare la decisione del 29 settembre scorso della Corte Suprema che ha dichiarato la Mejlis dei tartari di Crimea (l’istituzione di auto-governo locale) un’organizzazione estremista.

Pur senza difficoltà con Kiev, negli ultimi 20 anni la minoranza tatara era riuscita a dotarsi delle istituzioni democratiche che hanno consentito a quella comunità di proteggere e promuovere la cultura e tradizione che la caratterizza nonché la possibilità di professare la propria religione. I tatari sono stati uno dei gruppi etnici che in Russia hanno subito angherie per secoli con deportazioni di massa verso l’Uzbekistan durante gli anni di Stalin. Da due anni son tornati a vivere l’incubo del passato.

Il “deterioramento” dei diritti umani in Crimea dall’inizio della annessione illegale della Federazione Russa è stato ampiamente documentato dall’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani che ha dettagliato “arresti, maltrattamenti, torture e intimidazioni perpetrate contro gli oppositori politici e le minoranze, così come la negazione dei diritti umani fondamentali a coloro che non accettano l’imposizione forzata di legislazione e lingua, oltre che della cittadinanza, russa nella penisola.”

Nel 2015, il parlamento ucraino ha adottato una risoluzione che riconosceva la competenza della Corte Penale Internazionale sui fatti accaduti durante le manifestazioni di piazza per portare Yanukovich davanti a un giudice terzo per i crimini commessi nella repressione delle proteste del febbraio 2014.

Il 16 novembre scorso, capita la malaparata alle Nazioni unite, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che Mosca ritirerà la firma dallo Statuto di Roma della CPI, che comunque non aveva mai ratificato, anche perché il procutatore dell’Aia nel frattempo aveva aperto un dossier sul conflitto ucraino e, pare, sugli attacchi aerei russi in Siria.

La risoluzione dell’Assemblea generale non ha potere vincolante né prevede il rafforzamento di sanzioni internazionali ma rappresenta un documento di chiara denuncia politica nei confronti di un regime, quello russo, che viene lasciato agire senza censura o critica ferma e che sistematicamente si presenta al mondo come la vittima di un complotto internazionale – vedi le recenti rimostranze di Mosca a seguito dell’annuncio dell’invio di contingenti Nato a rafforzare la presenza militare nei paesi baltici.

All’inizio dell’anno, nel bel mezzo della guerra all’Isis, un documento del Pentagono affermava che per gli Usa, e quindi il mondo Occidentale, la maggiore minaccia fosse la Russia e non il terrorismo islamico; con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca i toni nei confronti di Mosca saranno sicuramente meno belligeranti, ciò non toglie che il problema dell’impunità della azioni militari russe fuori dai propri confini e del silenziamento violento del dissenso interno restano una ferita aperta, e sanguinante, nei confronti dello Stato di Diritto.

L’Assemblea generale è stata chiara nelle sue denunce, ma adesso cosa succederà?