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Il fascino discreto della gentilezza

(Un interessante pezzo Marco Belpoliti su Repubblica)

Paterson abita a Paterson ed è un autista di autobus. Scrive poesie su di un taccuino. Il protagonista dell’omonimo film di Jim Jarmusch è cortese con tutti, anche se a tratti attonito e quasi assente. Lo è con Laura, la sua compagna, con il bulldog inglese che porta a passeggio, con gli avventori del bar dove beve la birra serale, con i passeggeri del bus, con una bambina incontrata per strada. Sembra possedere quella che una psicologa, studiosa della cortesia, Giovanna Axia, ha definito la «capacità di far star bene gli altri».

Non si arrabbia neppure quando il cane fa a pezzi il taccuino delle sue poesie sbriciolandolo letteralmente. S’intristisce soltanto e va a sedersi sulla sua panchina preferita, là dove ha scritto alcune delle poesie migliori (le poesie citate nel film in realtà sono di Ron Padgett, poeta laureato americano). Su quella panchina prende posto anche un giapponese, pure lui poeta. Con la sua gentilezza il nipponico lo indurrà a ricominciare a scrivere donandogli un quaderno.

Il successo di Paterson segna il ritorno della cortesia come qualità apprezzabile? Non c’è solo questo film, ma anche un piccolo libro apparso da poco: Cortesia. Pratiche di gentilezza quotidiana.

L’ha scritto Elio Meloni (Claudiana, pagg. 104, euro 8), insegnante, pedagogista, formatore. Meloni cerca di dare voce a una celebre frase di San Paolo, che ammoniva di far uscire dalla bocca parole buone piuttosto che cattive, «parole che possono giovare a quelli che ascoltano». Una definizione indiretta di cortesia, perfettamente in linea con la cultura cristiana fondata sulla caritas, che ha trionfato per secoli, guerre a parte.

Oggi sembra prevalere l’opposto: odio, risentimento, rancore. Queste emozioni sembrano dominanti nelle nostre società, e non solo in quelle occidentali. Lo psicoanalista inglese Adam Phillips ha sostenuto in un libro pubblicato qualche tempo fa insieme con la storica Barbara Taylor, Elogio della gentilezza (Ponte alle Grazie), che a partire dal secolo XVI il comandamento cristiano «ama il prossimo tuo come te stesso» ha subito un attacco mortale da parte dell’individualismo moderno.

A partire dal Leviatano di Hobbes la generosità cristiana è stata liquidata come un assurdo psicologico, un segno di debolezza, una virtù da perdenti. Dopo due secoli siamo diventati tutti seguaci del filosofo inglese?

Lacan con il suo solito sarcasmo ha suggerito che il dettato cristiano di amare il prossimo come se stessi doveva essere ironico, dal momento che le persone odiano se stesse. Meloni nel suo volume suggerisce di compiere una serie di esercizi, che contrastano “la guerra di tutti contro tutti”; sono piccole pratiche quotidiane, alcune delle quali nel solco della tradizione buddista, proposte dal monaco zen vietnamita Thich Nhat Hanh.

La cortesia non è solo una faccenda occidentale, per quanto la parola che la definisce provenga dal mondo feudale, prima, e rinascimentale, poi: l’amor cortese dei poeti provenzali e stilnovisti e Il Cortegiano di Baldassar Castiglione. Nella filosofia confuciana c’è infatti il “li”, termine che indica buone maniere, riti e cerimonie che hanno come scopo il comportamento rispettoso. Una delle ipotesi da cui parte Axia nel suo libro ( Elogio della cortesia, il Mulino) è che la cortesia sia sociale e non morale, poiché «offre rotte sicure di navigazione nei mari sociali, rotte interessanti, divertenti e a volte proficue».

La cortesia non sarebbe altro che il sorriso espresso con le parole. Chi è gentile e cortese sa mettere da parte i propri desideri e la propria posizione sociale a favore del benessere reciproco. Senza dubbio la cortesia fa piacere e genera socialità. Due secoli fa Goethe nelle Affinità elettive ha scritto: «Non c’è segno esteriore di cortesia che non abbia una profonda base morale (…) C’è una cortesia del cuore che è vicina all’amore. Da essa la più conveniente cortesia del comportamento esteriore deriva».

Origine sociale o morale? Alla cortesia si è educati, ma occorre anche un’inclinazione d’animo. Non è facile mettersi nella testa degli altri, capire cosa pensano, desiderano o vogliono. L’empatia è una dote, oppure un risultato raggiunto con l’esercizio? Paterson fa proprio questo, o almeno così ci fa credere Jarmusch: è empatico. Tuttavia a tratti nel film appare uno stordito, più assente che presente, più preso dai suoi pensieri — la poesia — che da quelli degli altri, compresa la donna che ama. Adam Phillips si è avventurato nelle cantine della gentilezza, e ha provato a far luce lì per capire su cosa si fondi davvero la cortesia. La sua tesi, derivata da Freud, è che sarebbe il nostro egoismo, la mancanza di affetto e di riguardo, a rendere possibile il desiderio, mentre la gentilezza appare la maniera per interrompere il desiderare.

La cortesia opposta al desiderio? Sembrerebbe di sì. Per gli psicoanalisti post-freudiani le cose riguardanti la cortesia e la gentilezza appaiono complicate. Donald Winnicott, ad esempio, ritiene che l’aggressività, opposta alla cortesia, possa essere in qualche modo una forma di amorevolezza, ovviamente quando non è cieco furore generato da un’umiliazione.

Non l’odio, ma piuttosto il sentimentalismo e la nostalgia, scrive Phillips, sono i veri nemici della generosità, da cui nascerebbero cortesia e gentilezza. Per quanto la pratica psicoanalitica istituita da Freud serva a mettere a nudo i nostri imbrogli e i nostri conflitti riguardanti la gentilezza d’animo, Phillips, curatore delle opere di Freud e autorevole autore di libri, sostiene che per la psicoanalisi la gentilezza e la cortesia restano un enigma all’interno dell’evoluzione umana. Di sicuro per lui appare opposta al desiderio.

Compreso quello sessuale? Jarmusch non ci fa vedere Paterson mentre fa sesso con la sua compagna. Ce li mostra a letto, visione dall’alto, al mattino, un giorno dopo l’altro. Una volta lei è persino nuda tra le lenzuola. Lui afferra l’orologio, guarda l’ora — le sei e un quarto —, la bacia teneramente e va a lavorare. Sta pensando alla poesia, come un poeta provenzale.

Scrive poesie, molte d’amore. Ma senza mai fare l’amore. Che abbia ragione Phillips con le sue teorie freudiane?