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Operazione “Recherche”, gli affari del clan Pesce di Rosarno. Le facce e i nomi.

(l’articolo de Il Dispaccio)

da sinistra: Armeli, Cimato, Elia, Garruzzo, Mangiaruca, Rocco Pesce, Savino Pesce, Raso, Stilo e Scordino.

Non è un caso che l’indagine messa a segno oggi, dalla Squadra Mobile della Questura reggina e dalla Dda, è stata chiamata “Recherche”. Il nome prende spunto infatti, da un’opera letteraria di Marcel Proust, scrittore e critico letterario parigino, molto amato dal boss Marcello Pesce “u ballerinu”. Quando lo catturarono nel dicembre scorso infatti, gli agenti della Mobile trovarono nel suo covo molti libri dell’autore. L’inchiesta prende proprio l’avvio dalle ricerche, degli inquirenti e degli investigatori, del boss di Rosarno che per sei anni è riuscito a darsi alla macchia. Oggi è stata quindi ricostruita la fitta rete dei presunti fiancheggiatori che hanno “aiutato” il boss a sottrarsi alla giustizia, ossia dal 2010 quando i Carabinieri eseguirono il blitz dell’operazione “All inside”. In tutto sono undici le persone fermate su ordine dei pm reggini Luca Miceli, Adriana Sciglio e Francesco Ponzetta. Un’altra, ossia Antonino Pesce, classe 1992 , è attivamente ricercata dalla Mobile. Le accuse contestate agli indagati sono, a vario titolo, quelle di associazione mafiosa, illecita concorrenza con minaccia o violenza, traffico e cessione di sostanze stupefacenti, intestazione fittizia di beni e favoreggiamento personale nei confronti del boss Marcello Pesce, arrestato nel dicembre scorso dalla Polizia. I dettagli sono stati esposti stamani presso la sala “Calipari” della Questura reggina.
“Oggi è una giornata di sole- ha affermato il Questore Raffaele Grassi. Questa operazione evidenzia, ancora una volta la forza dell’autorità giudiziaria e della Polizia nel contrasto alla ‘ndrangheta. L’attenzione degli investigatori è al massimo livello sia sulla piana di Gioia Tauro che in tutta la provincia reggina”.

Le investigazioni, per la cattura del “ballerino”, abbracciano il periodo che va dall’inizio del 2015 al giorno della cattura del latitante, sorpreso all’interno di un’abitazione nel centro del suo paese d’origine, nella disponibilità di Salvatore Figliuzzi, classe 1955 e del figlio Pasquale classe 1976, i quali, arrestati in flagranza di reato per favoreggiamento aggravato, hanno subito patteggiato la pena. Attorno all’ex latitante poi c’era un’organizzazione che non solo assisteva “moralmente” e materialmente Marcello Pesco, ma è riuscita a creare una rete di supporto e di tutela attraverso l’effettuazione delle “staffette” dirette ad evitare l’intervento delle forze dell’ordine sia all’atto dei vari spostamenti del latitante e sia quando i sodali, i familiari e altri soggetti si recavano presso i vari covi in cui Pesce si nascondeva. Inoltre, secondo l’Antimafia, i fiancheggiatori hanno garantito gli incontri tra “il ballerino” e gli altre membri della cosca.
“Pesce non era un boss “in sonno” – ha affermato il procuratore aggiunto Gaetano Paci- era attivissimo e per tutto il periodo della latitanza ha dettato regole e strategie ai sodali attraverso il figlio Rocco Pesce ossia la sua “longa manus” sul territorio. Insieme a lui altro elemento di spicco era Filippo Scordino; entrambi curavano i rapporti con gli intestatari fittizi del settore del trasporto merce su gomma e gestivano altre attività economiche, come aziende agricole e centri scommesse”.
Proprio su questo aspetto si è soffermato Federico Cafiero De Raho, Procuratore reggino. “La nostra Costituzione, ha affermato Cafiero, garantisce la libertà di iniziativa economica, ma dove c’è la ‘ndrangheta questo non è possibile. In Calabria c’è un controllo talmente capillare che le cosche effettuano un controllo asfissiante, asfissiante per la popolazione ma anche per l’economia del territorio. Abbiamo inoltre appurato, che anche le stesse “teste di legno”, che lavoravano per conto dell’organizzazione mafiosa, per commercializzare dovevano essere autorizzate dai capi e nel caso dovevano pagare, pur essendo inseriti nel contesto criminale”.

L’inchiesta “Recherche” poi, ha smantellato i traffici di droga messi in piedi dalle cosche di Rosarno. “Ci troviamo di fronte ad un’organizzazione criminale -ha affermato il Procuratore della Dda dello Stretto- che è riuscita a spostare il proprio interessi dalla cocaina alla marijuana poiché sono risultati saldi i legami con i trafficanti della costa orientale siciliana. I Pesce al momento stavano esportando lo stupefacente sulle piazze del cosentino; in due occasioni abbiamo infatti, sequestrato carichi di hashish e marijuana per un valore di oltre 100 mila euro». Le indagini finalizzate alla cattura del latitante sono proprio partite dall’osservazione dei suoi più stretti congiunti come il figlio Rocco Pesce, classe 1988. Secondo il “rampollo” dei Pesce prendeva parte attiva all’organizzazione dedita al traffico illecito di sostanze stupefacenti.

È stata fatta luce su una serie di cessioni di droga riconducibili ad una rete di narcotrafficanti operanti in prevalenza sul territorio di Cosenza, Rosarno e nella provincia di Catania. La base di partenza dell’inchiesta era rappresentata dall’osservazione di due luoghi strategici per il gruppo criminale ossia un centro scommesse e l’azienda agricola “Le tre stagioni” all’interno della quale, il 25 febbraio dello scorso anno, è stato effettuato anche un sequestro di droga (quattro chilogrammi di “marijuana”) riferibile, secondo gli investigatori, a Rocco Pesce ed al suo gruppo da cui emergevano, anche evidenti cointeressenze tra le attività dell’indagato e soggetti del vibonese. Il secondo sequestro inoltre, è stato effettuato l’otto febbraio del 2015 quando agli imbarcaderi di Villa San Giovanni, all’interno di un camion sono stati rinvenuti 67 chili di marijuana e più di 82 mila euro euro in banconote di vario taglio. Da Rosarno la droga viaggiava verso la Sicilia.
Il pm reggini infine hanno sequestrato un imponente patrimonio aziendale riconducibile alla famiglia di Marcello Pesce, che comprende 8 società ed una consistente flotta di mezzi di notevole valore commerciale (come trattori stradali, rimorchi e semirimorchi). La cosca, ancora una volta, era “leader” nel settore del trasporto su gomma e, ancora una volta, l’Emilia Romagna rappresentava una “piazza” appetibile. Attraverso le intercettazioni effettuate a carico dei presunti componenti della cosca, fra cui diverse telematiche attive sugli smartphone, è stato smascherato il sistema dell’imposizione dei trasporti merci su gomma dalla Piana di Gioia Tauro verso diverse località del centro e nord d’Italia e del costo degli stessi.

A “gestire” questo settore, per conto della ‘ndrangheta, era Filippo Scordino, accusato di ricoprire il ruolo di direzione e capo della cosca Pesce. In stretto contatto con Marcello e il figlio Rocco Pesce, l’indagato avrebbe gestito per conto di questi l’ “Agenzia di Rosarno” ossi la propria ditta individuale e la “GETRAL”, impegnate nel campo della gestione e mediazione del trasporto merci su gomma, in regime di sostanziale monopolio a Rosarno e nel resto della Piana.