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Marciamo contro il caporalato

(scritto per i Quaderni di Possibile qui)

Si chiama caporalato ma c’è dentro un bel mazzo di questioni che ci stanno terribilmente a cuore: c’è il lavoro svilito che considera le persone un tanto al chilo, c’è la criminalità che si organizza tra i buchi dei mancati controlli, c’è l’immigrazione che diventa manovalanza a disposizione delle mafie e c’è l’indifferenza intorno che consuma senza porsi troppe domande.

Lo chiamiamo caporalato ma coinvolge una schiera che non sta solo in mezzo ai campi. Come abbiamo scritto nel nostro appello (firmato da noi con Leonardo Palmisano e Marco Omizzolo che di caporalato si occupano tutti i giorni da anni): “il caporale è l’ultimo anello di una catena che salda diversi interessi all’insegna della riduzione dei costi: dalla grande distribuzione che stabilisce il prezzo, passando per i mediatori e i produttori che cercano di massimizzare il loro profitto. E spesso nell’affare entrano anche le mafie, che controllano buona parte della filiera, a partire dai mercati ortofrutticoli, le grandi centrali di raccolta, smistamento e trasporto dei prodotti ortofrutticoli coltivati in Italia o importati dall’estero. Talvolta con la complicità della politica locale”.

Per questo Possibile aderisce alla Marcia nazionale contro la mafia del caporalato di lunedì 17 aprile: perché noi in marcia ci siamo da tempo e non abbiamo nessuna intenzione di fermarci. Chiediamo il ritorno alla centralità del collocamento pubblico; una procura nazionale anticaporalato; una procura antimafia a Foggia; l’aumento del numero degli ispettori del lavoro; una legge che consenta di creare anche in agricoltura cooperative di produzione lavoro; un sistema di accoglienza diffuso nei centri urbani che coinvolga direttamente le comunità; la traduzione in lingue straniere della legge contro il caporalato; l’abolizione del reato di clandestinità; il superamento della Bossi-Fini, prevedendo strumenti di ingresso per la ricerca di lavoro e modalità di regolarizzazione attraverso il lavoro; meccanismi che permettano alle vittime di sfruttamento di avere accesso rapido a indennizzi, risarcimenti e retribuzioni arretrate; misure che rendano estremamente trasparente la filiera produttiva, a partire da un’etichettatura che tracci i singoli fornitori; progetti di assistenza e formazione a livello nazionale e regionale qualificati a sostegno dei percorsi di emancipazione dei lavoratori e delle lavoratrici; politiche di welfare a sostegno dei lavoratori e delle lavoratrici, soprattutto se costrette a subire oltre allo sfruttamento anche violenze fisiche, sessuali e ricatti di varia natura.

Per aderire all’appello basta andare qui. Mentre qui trovate l’evento Facebook.

Giulio Cavalli

Stefano Catone