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Giovanardi indagato per mafia. E fa già ridere così.

(l’articolo è di Giovanni Tizian per l’Espresso)

L’ultima crociata del senatore Carlo Giovanardi sarà, forse, la più difficile da affrontare. Dovrà infatti difendersi dalle pesanti accuse che gli contestano i magistrati di Bologna. L’attuale membro della commissione antimafia – già ministro e sottosegretario berlusconiano – è indagato per rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio e minaccia o violenza a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato. Il tutto con l’aggravante di aver rafforzato l’associazione mafiosa, agevolandola. In questo caso specifico, l’associazione, risponde al nome di ‘ndrangheta emiliana.

Giovanardi, in pratica, avrebbe utilizzato notizie riservate e fatto pressioni indebite per salvare dall’interdittiva antimafia del prefetto una società di costruzioni modenese, esclusa dai lavori pubblici perché condizionata dalle cosche. Il titolare dell’azienda Bianchini costruzioni è sotto processo per concorso esterno alla mafia a Reggio Emilia, insieme ai capi bastone dell’organizzazione criminale. Ma il senatore, è l’ipotesi degli inquirenti, non si è fatto alcuno scrupolo nel montare una campagna contro prefetti, investigatori e magistratura, per tutelare un imprenditore che con gli uomini del padrino Nicolino Grande Aracri andava a braccetto.

Con i titolari di questa azienda di San Felice, paesone colpito pesantemente dal sisma del 2012, l’ex ministro si è incontrato varie volte. Anche nel suo studio. Per il politico modenese i Bianchini sono imprenditori seri, guai a chi lo mette in dubbio. E per questo vanno difesi senza remore, nonostante le pesanti accuse dell’antimafia e il primo pentito della cosca emiliana che ha riempito decine di verbali sugli affari portati avanti con la complicità dell’imprenditore modenese, che oltre a fare la parte del leone nella ricostruzione post terremoto aveva ottenuto lavori anche nei cantieri Expo di Milano.

A Giovanardi l’avviso è stato notificato lo scorso venerdì, alla vigilia del primo congresso provinciale del nuovo movimento politico, Idea popolo e libertà, di cui è fondatore insieme a Eugenia Roccella e Gaetano Quaglieriello. Tra gli indagati altre tre persone, che lo stesso giorno hanno ricevuto il medesimo avviso, tra questi c’è il capo di gabinetto della prefettura di Modena, Mario Ventura.

Oltre all’informazione di garanzia gli indagati hanno ricevuto la notifica della fissazione dell’udienza davanti al gip, chiesta dai pm Beatrice Ronchi e Marco Mescolini, a maggiore tutela del parlamentare. Infatti, in base all’articolo 6 della normativa sulle «disposizioni in materia di processi penali nei confronti di alte cariche dello Stato», per utilizzare le intercettazioni che riguardano deputati e senatori è necessario chiedere il via libera alla giunta per le autorizzazioni. Nel caso di Giovanardi i pm hanno preferito adottare una cautela ulteriore, e far decidere a un giudice terzo la rilevanza o meno di quelle telefonate “indirette” in cui spunta il senatore, membro peraltro della commissione antimafia. Solo se il gip dovesse ritenerle rilevanti verranno inviate al Senato.

Sempre lo stesso gip dovrà valutare anche i tabulati acquisiti durante i due anni di indagine riservatissima condotta dal nucleo investigativo del comando provinciale dei carabinieri di Modena coordinati dai pm che hanno firmato la maxi inchiesta Aemilia, quella sulla ‘ndrangheta emiliana appunto. Non è un caso ovviamente che il filone “Giovanardi” scaturisca da questa indagine.

I sospetti sull’ex ministro iniziano a prendere forma proprio nei giorni immediatamente successivi alla retata “Aemilia”. Da quando cioè l’allora procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso, si recò in gran segreto negli uffici della prefettura modenese per sentire quale persona informata dei fatti l’attuale capo di gabinetto del prefetto, Mario Ventura, indagato ora insieme al politico. Dopo di lui, tenendo sempre un bassissimo profilo, la procura ha ascoltato diversi testimoni: dagli ex prefetti di Modena fino ad arrivare al capo del Girer, il poliziotto Cono Incognito, che guida il gruppo di indagine creato ad hoc per vigilare sulla ricostruzione del dopo sisma.

Sotto i riflettori la strategia per far rientrare alcune aziende storiche del territorio sospettate di vicinanza ai clan negli elenchi “mafia free” della prefettura. Ventura, quando fu ascoltato dai magistrati, definì il suo amico senatore «un martello pneumatico» per le pressioni continue che esercitava con il fine di convincere a riabilitare l’impresa Bianchini. Società attivissima in regione e nella ricostruzione post terremoto, poi bloccata perché condizionata dal clan Grande Aracri, famiglia di ‘ndrangheta con cuore a Cutro, provincia di Crotone, ma testa e cassaforte tra Modena, Reggio Emilia e Parma, da ormai quasi 40 anni.

I video sequestrati
Tra il materiale acquisito dagli investigatori, in parte già mostrato durante il dibattimento in corso a Reggio Emilia contro la ‘ndrangheta emiliana, c’è un video registrato da Alessandro Bianchini, il figlio di Augusto. Entrambi sotto processo per complicità con la cosca, godono di un un ottimo rapporto con Giovanardi. Tuttavia è nella natura dei Bianchini non fidarsi di nessuno. Per questo Alessandro ha l’abitudine di registrare tutti gli incontri che organizza. Così tra i segreti archiviati custodisce nell’hard disk del pc anche i dialoghi con il senatore.

Per i pm un video più degli altri ha un’importanza fondamentale. Porta la data del 18 ottobre 2014: I Bianchni ammettono davanti a Giovanardi di avere fatto fatture false con il gruppo dei “cutresi” e non nascondono il rapporto con Bolognino, il braccio operativo del grande capo don Nicolino Grande Aracri. Confermano in pratica quanto gli contesta la procura. Da questo momento in poi Giovanardi è, secondo i pm, consapevole del ruolo di Bianchini. Ma nonostante ciò ha proseguito nella sua opera di pressing sulle istituzioni. Il pressing, è bene sottolinearlo, secondo Giovanardi rientrava nelle prerogative di un parlamentare, a tutela dell’economia del territorio e per cambiare una legge, quella sulle interdittive antimafia, secondo lui inefficiente e pericolosa.

C’è poi un secondo audio ritenuto di grande interesse. Perché qui il senatore usa parole molto forti. Arrivando persino a dire davanti agli imprenditori che: «A quelli ho detto che se fossi in Bianchini verrei qua con una rivoltella e ammazzo tutti, creando un precedente… folli…folli…».

Le minacce
L’altro capitolo riguarda le minacce di Giovanardi nei confronti di chi non sottostava alle sue richieste. Su sollecitazione di Bianchini, Giovanardi prendeva contatti con tutte le autorità coinvolte: prefetto, capo di gabinetto, questore, comandanti provinciali di carabinieri e finanza, con i loro superiori gerarchici anche a Roma, con stretti collaboratori del ministero interni, e con Bruno Frattasi, direttore ufficio legislativo e relazioni parlamentari.

Tutto con il fine di condizionare l’attività della prefettura, per indirizzare future decisioni e ottenere la revisione del provvedimento su Bianchini. Il senatore ha proseguito la battaglia per mesi. Con modalità tali, sostengono gli inquirenti, da generare preoccupazione in chi riceveva le richieste. Soprattutto in relazione alle ripercussioni cui sarebbero andati incontro qualora non avessero aderito ai desiderata di Giovanardi in merito alla revisione del provvedimento.

Ecco qualche esempio in mano a chi indaga: agli ultimi due prefetti di Modena, il prefetto Benedetto Basile e Michele Di Bari, gli sarebbe stata prospettata l’adozione di un trasferimento ad altra sede o incarico attraverso interventi diretti presso il ministero dell’Interno; agli ufficiali dei Carabinieri è stata paventata la presentazione di esposti all’autorità giudiziaria, e l’avvio di un’incisiva azione parlamentare nel tentativo di influenzare le decisioni di chi avrebbe poi dovuto decidere delle sorti di Bianchini.

Un clima di tensione
Il comportamento e l’atteggiamento di Giovanardi hanno creato un clima di forte tensione all’interno della Prefettura. Tensione soprattuto attorno al prefetto dell’epoca Michele di Bari. Che ha resistito alla richieste continue del senatore, più che certo di centrare l’obiettivo e regalare a Bianchini la nuova iscrizione nelle white list prefettizie.

L’ex ministro berlusconiano non poteva imbarcasi in questa avventura tutto solo. Così all’interno di questo quadro è emerso il ruolo di altri personaggi che a vario titolo si sono spesi per vincere la partita. Un quadro, sostengono i magistrati, in cui la prefettura appare vulnerabile alle interferenze esterne. E in cui l’allora prefetto si è trovato stretto tra l’ ingerenza di Giovanardi, l’intransigenza degli investigatori e un funzionario disponibile ad ascoltare le pretese del politico, che solo tre giorni fa lanciava l’allarme su sicurezza e immigrazione dal palco del congresso provinciale del suo nuovo partito “Idea”.