(su il lavoro culturale c’è un pezzo esemplare)
La cosa che colpisce della voce su Daus è che riporta tutti i tic della stampa fascista delle origini. L’inversione della vittima e del criminale, che fa risultare uno squadrista come una vittima e non un aggressore. Il giustificazionismo devastante che accusa. Un repertorio ormai ben calibrato, realizzato da anni. La voce di Wikipedia fa apparire normale che i fascisti “rispondessero” con spedizioni squadriste a provocazioni o aggressioni subite, così come a gesti di “affronto alla patria”: non esporre il “Tricolore”, o condurre campagne di stampa contro di loro, contro la sacra nazione. Una banalizzazione della violenza squadrista e allo stesso tempo la costruzione di una narrazione vittimistica, ben sviscerata, per quanto riguarda la nostra contemporaneità, da Daniele Giglioli.
Nel caso della voce su Daus lo squadrismo compare come figlio naturale del disordine seminato dai “sovversivi” dopo la Grande Guerra, come reazione legittima al “caos decadente” dell’Italia postbellica: la giunta socialista di Grosseto si era addirittura spinta fino alla rimozione del busto di Sua Maestà Vittorio Emanuele III dalla sala del consiglio comunale! Per questo i fascisti misero a ferro e fuoco la città e uccisero alcuni grossetani. Un frame che viene usato ancora oggi: quando un neofascista aggredisce una vittima, dirà sempre di essere stato provocato, come spiega in questo articolo Selene Pascarella.
La fonte accademica usata dall’utente Jose Antonio, qui come altrove, è Roberto Vivarelli, storico notoriamente collocato in una zona grigia fra il rigore storiografico e la nostalgia per il proprio impegno giovanile al fianco della Repubblica di Salò. L’opera di Vivarelli è utilizzata in modo da insinuare una correlazione quasi necessaria fra le azioni della giunta socialista di Grosseto e la reazione squadrista , sulla base di tre pagine dedicate all’origine del fascismo, invocate a sostegno, appunto, della pericolosità dei socialisti grossetani.