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«L’austerity in Italia non è mai esistita»: lo dice Roberto Perotti, ex consigliere del presidente del Consiglio dei ministri per la spesa pubblica

La spesa pubblica è sulla bocca di tutti e sarà sempre peggio con l’avvicinarsi delle elezioni. Il debito pubblico invece, quello no, di quello non ne parla più nessuno perché lo “storytelling” prevede l’obbligo (politicamente amorale) di essere “positivi” come se la gestione del Paese sia una merce da vendere al pari di una confezione di biscottini o una nuova marca di shampoo. E allora vale la pena di leggersi attentamente tutta questa intervista a Roberto Perotti che proprio per i “tagli di Stato” era stato chiamato al fianco dell’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi. E poi allontanato. Eccola qui:

La spesa pubblica al netto degli interessi ha continuato a salire dal 2014, i numeri dello stesso Def sono chiari”. Peggio: “La revisione della spesa pubblica è morta, ma il debito pubblico è un problema reale non una fisima degli economisti”. Roberto Perotti, professore dell’Università Bocconi ed ex consigliere del presidente del Consiglio dei ministri per la spesa pubblica, non usa mezzi termini parlando a margine dell’incontro di presentazione del suo libro ‘Status quo: perché in Italia è così difficile cambiare le cose (e come cominciare a farlo)’, organizzato presso la sede di Arca Fondi Sgr dall’Associazione Civicum. “Per fare la revisione della spesa serve la volontà politica – dice Perotti – e l’iniziativa dovrebbe partire dai Ministri. Ma i direttori generali, i capi di gabinetto dei ministeri non hanno alcun interesse a toccare lo status quo, si tratta di persone che sono lì a volte da 20-30 anni, spesso trascorsi a guardare il proprio ombelico e senza esperienze di fuori dall’ambiente romano e a volte senza nessuna competenza“. I problemi sono molteplici, dalla “pigrizia intellettuale” alla mancanza di voglia “di mettersi a guardare e studiare i numeri”. A questo si aggiunga una buona dose di incompetenza nell’analizzare “i problemi e vedere quello che può andare storto” come accaduto per la riforma della Pubblica amministrazione “assegnata a un ministro (Marianna Madia, ndr) che non aveva le competenze necessarie per intervenire” o quella delle pensioni targata Fornero con il dramma degli esodati.

Il governo sostiene che più di così sia impossibile tagliare, ma è un’affermazione a cui è difficile credere a fronte di una spesa pubblica complessiva di oltre 800 miliardi di euro l’anno.

Capisco i problemi politici, ma ci sono ampi margini di tagli possibili senza dover toccare pensioni, sanità e stipendi pubblici che – tuttavia – non sono certo voci incomprimibili. Probabilmente al loro posto mi comporterei allo stesso modo, ma deve essere chiaro che sono le pubbliche amministrazioni il primo freno ai tagli. Insieme agli stessi politici che non hanno tempo e voglia di mettersi a capire le cose.

Cioè?

Non hanno una visione di insieme della spesa pubblica e nessun dirigente mostra loro i tanti capitoli di spesa che potrebbero essere ridotti. Quindi i politici si convincono che la spesa sia incomprimibile.

A parole le intenzioni del governo erano di ridurre la spesa.

Il vento è cambiato. Il segnale più chiaro è la frase che Renzi ha pronunciato recentemente su Padoan, che diceva pressapoco così: “E’ un bravissimo tecnico, ma non si rende conto che il mondo è diverso da quello che ha studiato sui libri”. Di fronte alle difficoltà di tagliare la spesa, i politici si sono auto-convinti che per ridurre le tasse non sia necessario ridurre la spesa: il modo migliore di ridurre la pressione fiscale, dicono i politici, è aumentare il Pil attraverso aumenti di spesa. Questa è una favola a cui i politici vogliono credere per evitare di fare scelte difficili. Così come vogliono credere alla favola che i tagli di tasse si autofinanzino con l’aumento del Pil che essi indurrebbero.

La revisione della spesa è davvero morta?

Non so se sia mai stata viva, ma oggi è sicuramente morta. Sia perché ormai siamo in campagna elettorale e si sentono più forti le pressioni per aumentare la spesa; sia perché c’è aria di proporzionale, e il proporzionale rende più difficile controllare la spesa; sia perché, oggettivamente, il governo deve respingere l’assalto di forse populiste all’opposizione, che unanimemente attaccano l’austerity, anche se da noi non è mai esistita.

Anche i tedeschi rinfacciano all’Italia di non aver fatto austerity.

Che l’austerità fiscale non ci sia mai stata è un fatto. L’unica forte riduzione del disavanzo c’è stata con Monti, che però agì quasi esclusivamente sul lato degli aumenti di tasse. Poi l’avanzo primario ha continuato a scendere e la spesa primaria ad aumentare. I numeri sono chiari, chi dice il contrario fa solo propaganda. Non suggerisco di tagliare la spesa in modo drastico: sarebbe rischioso, ma gli aggiustamenti graduali sono sempre possibili. Per esempio una revisione di 3-4 miliardi non avrebbe impatti sulla sanità o sulle pensioni. Ma è evidente che qualcosa in cambio bisogna dare.

Che cosa intende?

Intendo dire che bisogna far capire alle persone che non si vuole tagliare a caso, ma che l’obiettivo è quello di risanare il Paese. Serve un segnale forte soprattutto per rispondere alle pressioni populiste, che peraltro in alcuni casi sono perfettamente giustificate. Penso alla riduzione dei vitalizi dei politici e degli stipendi per le figure apicali della pubblica amministrazione: guadagnano molto più rispetto ai loro pari grado di altri Paesi, mentre ai livelli più bassi i dipendenti pubblici hanno stipendi inferiori ai colleghi europei. Ridurre il vitalizio ai senatori, per esempio, sarebbe stato un volano politico pazzesco. E contrariamente a quanto si vuole far credere, probabilmente questa volta la Corte Costituzionale non si sarebbe opposta. Se non tagli in alto diventa politicamente impossibile tagliare altrove, ed è comprensibile. E quando si arriva a parlare solo di patrimoniali e lotta all’evasione fiscale è evidente che le idee siano finite.

L’eccesso di debito pubblico è davvero un problema?

Lo ripeto, il taglio del debito non è una fisima degli economisti come sostengono i politici. Certo nessuno saprà mai se con il 133% di debito/pil si possa sopravvivere, ma è sicuramente vero che non si possono fare interventi straordinari quando si presenta un’emergenza. L’Irlanda è riuscita a salvare le sue banche dopo la crisi del 2008 perché partiva con un debito al 30% del Pil, l’Italia, al contrario, non aveva un euro. E questo al netto di tutti gli attacchi all’Europa che secondo i politici italiani avrebbe impedito l’intervento pubblico. Se avessimo avuto un debito come quello irlandese avremmo potuto affrontare prima il problema dei crediti deteriorati, invece di farlo diventare un bubbone. I crediti deteriorati restano uno dei principali problemi di questo paese: per anni abbiamo messo la testa sotto la sabbia e poi ci abbiamo messo altri anni per cominciare a gestirlo in modo non dilettantesco.

(fonte)