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Il Pentagono ammette di avere ucciso 300 civili siriani in due mesi. Ma “per sbaglio”, eh.

Due mesi di sangue, quelli di marzo e aprile 2017, per i civili di Siria e Iraq, vittime innocenti dei raid della coalizione a guida Usa. Sessanta giorni in cui il numero di quelle che con un eufemismo vengono chiamate “vittime collaterali” è più che raddoppiato: 332 contro i circa 150 morti da agosto 2014, ovvero dall’inizio dell’operazione Inherent Resolve contro lo Stato Islamico. È quanto si legge nell’ultimo rapporto diffuso dal dipartimento della Difesa statunitente.

Qualcosa nell’offensiva militare deve essere cambiato. Secondo alcune organizzazioni non governative come AirWars, osservatorio sulle operazioni militari in Siria e Iraq guidato da un gruppo di giornalisti, gli Stati Uniti avrebbero abbassato gli standard di sicurezza utilizzati per difendere i civili durante gli attacchi per la liberazione delle zone controllate dall’Isis.

La coalizione, tuttavia, rifiuta le accuse mosse da AirWars e spiega l’aumento delle vittime con l’intensificarsi delle operazioni condotte su territori densamente abitati, e quindi a maggior rischio per i civili.

Non solo: per AirWars sarebbe da rivedere al rialzo anche il numero di vittime dichiarato dal Pentagono. Per la Difesa Usa 484 in tre anni, per l’Ong almeno 3817.

Numeri estremamente più alti. Secondo l’osservatorio solo ad aprile sarebbero morte tra le 283 e le 366 persone nei territori in cui si sta combattendo. “Con il terzo mese consecutivo di attacchi aerei sotto la presidenza Trump, stiamo ora vedendo l’emergere di tendenze chiare – ha affermato Chris Woods direttore dell’osservatorio – intorno a Raqqa in particolare, dove la maggior parte degli attacchi aerei sono degli Stati Uniti,  si osservano le perdite maggiori di civili. Numeri che fino a sei mesi fa non ci saremmo mai immaginati. Questo è la prova più chiara che le protezioni per i civili sul campo di battaglia sembrano essere state ridimensionate, con l’inevitabile conseguenza di un aumento nel numero di morti e feriti”.

“Dal momento che la battaglia si avvicina, siamo estremamente preoccupati per la sorte di centinaia di migliaia di civili ancora intrappolati all’interno della città”, conclude Woods.

In un comunicato diffuso dalla Difesa americana sono elencati gli interventi compiuti contro i miliziani. Ad aprile 2017 sono stati 19 gli attacchi condotti in Siria, 13 quelli in Iraq. In entrambi in casi sono stati colpiti pozzi di petrolio, veicoli, postazioni dei miliziani e anche 132 civili. E marzo è stato il meso più cruento, con le bombe cadute dal cielo di Mosul che dovevano colpire gli jiiadisti ma hanno in realtà ucciso 200 persone tra civili e attivisti dei diritti umani. I militari Usa ammisero quell’errore, dieci giorni dopo.

L’errore di Tabqa. Dopo la strage dei civili di marzo, a aprile gli americani hanno colpito una postazione curda nella città siriana Tabqa. A morire furorno almeno 18 ribelli impegnati a combattere contro l’Isis. “Il raid – aveva affermato Washington – era stato richiesto dai nostri partner militari, che avevano identificato una postazione dell’Isis” ma in realtà “nel mirino sono finite le Forze democratiche siriane”, alleate degli Usa nella lotta all’Isis.

Tabqa è l’ultima roccaforte dello Stato islamico prima di Raqqa, da cui dista circa 40 km. L’offensiva per riconquistarla era cominciata solo da poche settimane. Fu il primo bombardamento espressamente voluto da Donald Trump, come risposta all’attacco chimico di Dayr az Zor, nell’omonima regione confinante con l’Iraq, che in molti hanno attribuito al presidente siriano Bashar al Assad, ma cui colpevole certo non è stato ancora individuato.

Gli ultimi tre quartieri di Mosul. Con la battaglia agli sgoccioli, nei prossimi mesi, il bilancio potrebbe aggravarsi anche a Mosul. Secondo le analisi militari, lo Stato Islamico in Iraq ha le ore contate. “Gli iracheni stannp progredendo in modo costante – ha detto il colonnello dell’esercito Usa Ryan Dillon in teleconferenza da Bagdad – i soldati si stanno avvicinando agli ultimi tre quartieri occidentali di Mosul ancora occupati dallo Stato islamico”. Ai miliziani è rimasto il controllo di circa dieci chilometri quadrati di città. “Recuperarli – ha proseguito il colonnello – non sarà semplice, sarà l’operazione più complicata che le forze irachene dovranno affrontare per sconfiggere l’Isis”. Nel frattempo continua l’evacuazione dei civili dalle zone di combattimento.

 (fonte)