Vai al contenuto

Mangialibri recensisce ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

Non è facile vivere in un paese come Mondragone senza “sporcarsi” la coscienza e diventare omertosi. Il silenzio e la cecità sono due condizioni indispensabili per vivere con tranquillità. Ma per Michele, orfano di genitori e che vive con il nonno, non è così normale. Per lui vivere in paese senza per forza asservirsi o entrare nelle grazie della famiglia Torre, che tutto comanda e dirige, è un obbiettivo. Finita la scuola, ha trovato lavoro presso una vineria e lì, onestamente, si guadagna da vivere tenendosi lontano dai giri sbagliati, con la sola compagnia del goffo Massimiliano, del nonno e della bella Rosalba detta “la silenziosa”. Gli anni trascorrono in fretta, il nonno, che ha sempre cercato di insegnargli la prudenza e il basso profilo, muore lasciandolo solo, mentre a Mondragone si continua a cadere sparati con la famiglia Torre che comanda e detta la propria legge su un paese sopra il quale regna il silenzio. Sono passati quarant’anni e Michele è diventato un uomo anziano, prossimo alla pensione. Ora lavora in un’agenzia di vigilanza: da quando la vineria è stata acquistata dai Torre lui è stato uno dei primi ad andarsene. Ha quattro figli, una nipotina che adora e Rosalba è sempre al suo fianco. Orgoglioso per non essersi mai sporcato le mani, attende l’ultimo giorno di lavoro per godersi la nipotina. Il suo sogno di vivere felice, in una casa con un bel giardino e in compagnia della sua famiglia è quasi raggiunto, ma a tormentalo ci sono i ricordi di Massimiliano, morto ammazzato per aver parlato apertamente, e del nonno, “certificato di quella terra: così ammaestrata e schiava, sempre omertosa e, in più, fiera di aver imparato così bene a essere omertosa e schiava”…

“Bisogna essere responsabili verso le persone che si amano” diceva il vecchio prima di morire. Dopo una vita spesa ad evitare di sporcarsi le mani, Michele si rende conto di essere diventato come suo nonno, ora che anche lui ha una nipotina da far crescere. A volte ci vuole una vita intera per capire certe cose, ma l’importante è arrivare a comprenderle. Allora il tempo speso per la comprensione si rivela utile, non importa la quantità. Non sempre basta essere integerrimi ed evitare i pericoli per essere giusti. Ciò che si chiede è la partecipazione e la chiara dichiarazione del proprio essere contro. Contro la mafia, contro gli abusi, contro chi usa la violenza per dettare la legge. Michele, saldo nei suoi principi, decide di resistere e non abbandonare un paese il cui destino appare segnato. La sola residenza a Mondragone basta a contagiare i suoi abitanti, che diventano ciechi e sordi, pur di non interferire con la famiglia Torre. Giulio Cavalli, con un racconto che vale come una piccola epopea famigliare e che dal 2007 vive sotto scorta a causa del suo impegno contro le mafie, ci racconta una storia che è anche una piccola battaglia personale, di civiltà ed eroismo. Non è eclatante, non è un gesto su larga scala e che avrà risonanza, ma la vita di Michele, nei suoi ultimi anni, alla fine diventa una testimonianza di coraggio. L’uomo che vede, che ragiona con la propria testa e che prende una decisione. Persino il dolore trova posto in una famiglia che si ritrova a tavola in un’ultima struggente immagine e che resta unita: una piccola comunità salda nei suoi sani principi che figli e nipoti porteranno avanti.

(fonte)