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Charlie Gard: condannato o salvato? Un’analisi, spiegata bene.

Con tutto il rumore di oggi (che tristezza il gentismo per racimolare voti, piuttosto di un silenzio ben scritto) c’è un articolo che vale la pena leggere. È di un blog medico (nopseudoscienze, qui) che si occupa di fare chiarezza lì dove la scienza viene calpestata dal “senso comune”. Conoscere per deliberare, insomma. O almeno conoscere prima di deliberare. Eccolo qui:

Negli ultimi giorni, in tutto il mondo, si è discusso del caso di una famiglia inglese e del loro bambino di 10 mesi, che secondo alcune opinioni, sarebbe stato ”condannato a morire” dai tribunali inglesi e dal Tribunale dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.
Andiamo con ordine, perché è una storia complessa sia dal punto di vista umano/etico-legale che medico.

Chi è Charlie Gard?
Charlie è un bambino di quasi 11 mesi (ad oggi).
Dopo la sua nascita, il 4 Agosto, la sua vita procede in quello che verrebbe descritto

come un modo normale per un neonato; con il passare delle settimane, però, i genitori Connie e Chris, iniziano ad avere preoccupazioni riguardo la salute del piccolo, che appare loro ”floscio”. Certo, non è un bel termine da dire per descrivere un neonato, ma questo è proprio il termine usato dalla madre (floppy, in lingua anglosassone). Il termine medico corretto è atonia muscolare.

Per precauzione, Charlie viene portato in ospedale per verificare il suo stato di salute.
La sua situazione non è chiara fin da subito, perciò viene ricoverato per accertamenti e nel giro di pochi giorni finisce, purtroppo, in terapia intensiva attaccato ad un respiratore meccanico e alimentato tramite sondino naso-gastrico.
Il sospetto principale, per i medici, è una qualche malattia rara, perciò vengono richiesti i primi test genetici, grazie ai quali, dopo alcune settimane, emerge la diagnosi: si tratta di una sindrome genetica da deperimento mitocondriale.
Nello specifico, bisogna dire che le malattie mitocondriali non hanno cura. Nessuna di quelle conosciute sono attualmente curabili, nemmeno con protocolli sperimentali per il semplice fatto che non esistono protocolli approvati.

La malattia di Charlie non colpisce un gene specifico, ma diversi, che causano il progressivo deperimento muscolare e nervoso. Queste mutazioni fanno si che la sottounità RRM2B della proteina P53, non svolga le sue funzioni: riparazione del DNA in caso di danneggiamento, mutazione o rotture della catena polinucleotidica.
In parole semplici, questa subunità dovrebbe intervenire continuamente nell’organismo, riparando porzioni di DNA che potrebbero, mutando o danneggiandosi, provocare patologie come per esempio i tumori.
Come detto sopra, non vi è cura.

La terapia nucleosidica
Nella linea temporale, ci troviamo ora ad avere Charlie a circa 8 settimane di vita e con una diagnosi.
Nei periodi successivi, dopo aver ricevuto la notizia che non esiste cura e che quindi il figlio morirà, Connie e Chris iniziano disperatamente a fare ricerche e a contattare centri di ricerca e ospedali nel mondo. Dagli Stati Uniti arriva una risposta: una ricerca del 2014, svolta alla Columbia University di New York, sembrerebbe apportare miglioramenti nei topi affetti da malattie mitocondriali di un gruppo di mutazioni differente.
Pur di non abbandonare al destino Charlie, l’ospedale richiede il trasferimento per poter effettuale in via sperimentale il trattamento che, come già detto, riguarda un differente gruppo di mutazioni.
Il fatto che siano i medici a proporre di trasferire il piccolo per sottoporlo in via sperimentale alla terapia, è importante. Ricordatelo.
Durante l’iter della richiesta, però, Charlie viene colpito da una encefalopatia, che gli provoca un grosso danno cerebreale irreversibile. Alla luce di questi eventi, l’ospedale non può portare avanti il progetto. Inoltre, gli studiosi di New York, avendo saputo le novità, a questo punto esprimono loro stessi delle perplessità riguardo dei teorici miglioramenti a seguito della terapia nucleosidica e, ancora, aggiungono che non possono fornire basi scientifiche per una risposta positiva dopo l’encefalopatia che ha colpito Charlie, in quanto non hanno mai studiato la terapia in questa condizione.
Nonostante questo, si rendono disponibili a proseguire nel caso in cui i genitori volessero tentare comunque la terapia.

A questo punto sono passati quasi 6 mesi dalla prima diagnosi e i medici del piccolo, dichiarando di non poter fare più nulla per lui, avanzano la proposta di staccarlo dalle macchine. I genitori, però, non sono d’accordo e vogliono portare comunque il figlio negli Stati Uniti per iniziare la terapia nucleosidica. Viene quindi interpellato il tribunale affinché impedisca ai genitori di continuare a tenere Charlie attaccato alle macchine pur di sottoporlo ad una terapia dove l’inefficacia,a questo punto, è certa.

Il ”child’s best interest”
Da qui in avanti, la questione riguarderà questo tema.
Si pone infatti, oltre al problema legale, quello etico per il quale si deve garantire a Charlie il trattamento migliore e più dignitoso evitando l’accanimento terapeutico.
In tutti i gradi di giudizio, i tribunali inglesi deliberano in favore delle richieste dei medici, appellandosi ad un’altra causa del 2005.
Ma cosa si intende per ”child’s best interest”?
Nella sentenza del 2005, viene espresso il concetto in questo modo

”Il giudice deve decidere quello che il migliore interesse per il bambino. Nel prendere questa decisione, il benessere del bambino è superiore, e il giudice deve vedere la questione assumendo il punto di vista del paziente. C’è una forte presunzione in favore di una procedura che prolungherebbe la vita, ma questa presunzione non è inconfutabile. Il termine ”miglior interesse” comprende tutti i disturbi del benessere, inclusi quelli medici e emozionali. La corte deve condurre un esercizio di bilanciamento nel quale tutti i fattori rilevanti sono pesati e un modo utile di farlo e quello di scrivere una tabella di bilanciamento.”

Le decisioni dei tribunali in merito al caso di Charlie, dunque, hanno lo scopo di prevenire e evitare accanimenti terapeutici che andrebbero ad apportargli ulteriori sofferenze, senza nessun beneficio. Charlie, infatti, a questo punto ha vissuto circa il 96% della sua esistenza sedato e tenuto in vita dalle macchine.
L’ultima sentenza in Inghilterra risale all’ 8 Giugno 2017 ed è stata emanata dalla Supreme Court. Entro 24 ore dalla sentenza, si poteva fare richiesta per passare il caso alla European Court, cosa che è avvenuta.

Il caso passa al tribunale Europeo dei Diritti dell’Uomo
Dopo la presa in carico da parte dell’ECHR, la data della delibera viene fissata al 19 Giugno, data che però viene posticipata a causa della complessità del caso.
Passano altri 8 giorni e, il 27 Giugno, arriva la sentenza definitiva:

” Il team del Great Ormond Street Hospital ritiene che Charlie possa provare dolore ma è inabile a reagire ad esso in un modo evidente. Hanno dimostrato che essendo ventilato, essendo aspirato, vivendo come Charlie vive, tutte queste procedure sono capaci di provocare dolore. Trasportare Charlie negli Stati Uniti sarebbe problematico, ma possibile.”

Questa sentenza si basa anche sul fatto che i diritti personali di Charlie come individuo, prevalgono in ogni caso sui diritti genitoriali: Connie e Chris potevano decidere per lui, ma entro certi limiti.

Come detto all’inizio, il caso era davvero molto complesso e prendere una decisione, avrebbe comunque causato malcontento.
Con la decisione che è stata presa, però, garantirà a Charlie una morte dignitosa e indolore, risparmiandogli ulteriori sofferenze, dolori e agonie che non avrebbe nemmeno mai potuto esprimere.
La sentenza sarà applicata oggi, nell’ospedale in cui ha vissuto per gli ultimi 9 mesi e mezzo. Questa decisione è stata criticata a sua volta da chi sostiene che avrebbero dovuto lasciarlo tornare perlomeno a casa, ma, in sede domestica mantenere una terapia intensiva è pressoché impossibile dal punto di vista logistico (personale presente, macchinari, farmaci, …). Oltretutto, come detto, Charlie viveva in sedazione e quindi si sarebbe dovuta mantenere questa condizione anche in casa, fino a quando gli sarebbe stata applicata un’anestesia totale profonda, che avrebbe permesso di staccare i macchinari senza causare nessun tipo di dolore a Charlie.
Questa resterà comunque la procedura che sarà seguita in ospedale.