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A Licata perde lo Stato: cacciato il sindaco anti abusivi

La storia la racconta molto bene Gian Antonio Stella su Il Corriere della Sera:

L’«eroe per caso» della guerra agli abusivi, il giovane sindaco di Licata, ha tenuto duro per mesi. A dispetto degli insulti, delle minacce, degli attentati, del peso di doversi muovere con la scorta. Lo sapeva, però, che il suo destino era segnato. E la mozione di sfiducia è stata solo il passaggio formale. Poche settimane e la Sicilia va alle elezioni regionali. E chi ce l’ha il fegato di sfidare il Pau, cioè il Partito abusivi uniti?

È una sconfitta pesante, per l’immagine e l’onore di tutta l’isola, la demolizione politica e clientelare, in consiglio comunale, di Angelo Cambiano, il simbolo stesso del rispetto della legge sulle demolizioni dei villini costruiti all’interno della fascia vietatissima dei 150 metri dal mare. Una sconfitta per Angelino Alfano che, tirato in ballo dalle suppliche a «far sentire l’appoggio del governo», aveva sventolato il suo appoggio al primo cittadino in difficoltà davanti alla rivolta dei fuorilegge: anche gli alfaniani hanno votato per la decapitazione della giunta comunale. E una sconfitta più ancora per lo Stato, che si era illuso di riuscire finalmente a imporre, in quell’angolo di Sicilia, il rispetto della legge.

Trent’anni di condoni

Per capire la dimensione della batosta, però, va fatto un passo indietro. Ricordando come dal primo condono craxiano del 1985, seguito dai due berlusconiani del 1994 e 2003, centinaia di migliaia di abusivi siciliani, protagonisti di un furioso saccheggio delle coste (si pensi a Triscina: cinquemila villette illegali tirate su a due passi da Selinunte) scelsero di versare un piccolo acconto avviando le procedure del condono, necessarie per bloccare le inchieste e le demolizioni, per poi non occuparsene mai più. Certi che la burocrazia isolana, tra le peggiori del pianeta, avrebbe ingoiato tutto.

Cosa puntualmente avvenuta. Basti dire che la «sanatoria delle sanatorie» offerta da Totò Cuffaro ai 400 mila isolani che da anni lasciavano marcire le pratiche dei vecchi condoni, fu accolta con l’1,1% di adesioni a Palermo, lo 0,37% a Messina, lo 0,037% a Catania, lo 0,025% ad Agrigento. E l’incasso fu di 1 milione e 85 mila euro: un settecentesimo del previsto.

L’ambiente era tale che nel 2001 lo stesso vescovo agrigentino Carmelo Ferrara, alla minaccia dello Stato di buttar giù almeno le più oscene delle 607 costruzioni illegali costruite dentro il parco archeologico, rispose attaccando le «ruspe immorali», denunciando «una campagna di mistificazione contro la città» e incitando alla ribellione «contro lo stato-padrone».

I villini da abbattere

Fu questo, «il contesto» di sciasciana memoria nel quale Angelo Cambiano diventò un «eroe per caso». Era un giovane docente di matematica, non aveva fama di fanatico ambientalista e la lista civica che l’aveva eletto non era fatta di rivoluzionari. Anzi. Ma il commissario di governo uscente, con le chiavi della città, gli consegnò anche un tesoretto di 300 mila euro accantonati per cominciare a buttar giù, finalmente, almeno i villini colpiti da ordinanze inappellabili di demolizione. Cioè 216 su centinaia e centinaia. Come già i lettori sanno: tutte seconde case, quasi tutte sul mare, tutte tirate su a dispetto della legge.

In altre situazioni, forse, lo stesso Angelo Cambiano avrebbe preferito poter dire, come tanti altri sindaci, «spiacente, le ruspe costano e non abbiamo soldi». Meno grane. Meno odio. Meno rischi. I soldi in cassa, però, lui li aveva. I magistrati Renato Di Natale e Ignazio Fonzo, che già avevano dato una scossa imponendo ai comuni di prendere di petto il tema, glielo ricordarono. E lui ne prese atto. Facendo il suo dovere, cosa rara in certe realtà, nonostante la rivolta di tanti amici e amici degli amici: «Picchì giustu a ‘nattre?» Perché solo a noi? Perché le ruspe qui e non in altri comuni e contro altri abusi?

Il coraggio di un sindaco

Confronto duro. Tanto che l’associazione «Periscopio, Osservatorio permanente sui rispetto della legalità» (sic) arrivò a firmare un «esposto querelatorio» contro il prefetto, il sindaco, i dirigenti dell’urbanistica e così via accusandoli di aver «prevaricato nelle loro funzioni istituzionali nella nota e triste vicenda…». Per non dire degli appelli («Perché proprio adesso, dopo anni? Perché proprio noi se in Sicilia ci sono un milione di case abusive?») e infine delle minacce.

Ci voleva coraggio a tener duro in nome dello Stato. Angelo Cambiano lo ha avuto. Ma come reggere un «contesto» in cui decine di deputati e senatori e consiglieri regionali si vantano di essere contro le ruspe e lo stesso governatore Rosario Crocetta nega le voci di una sanatoria ma pensa alla «possibilità dell’utilizzo sociale di alcuni immobili costruiti abusivamente che potrebbero, dopo la loro acquisizione al patrimonio pubblico, essere inseriti in piani di recupero…»? Come interpretare certi messaggi quali l’ultima apertura del candidato grillino alla Regione Giancarlo Cancelleri verso gli «abusivi per necessità», storica formuletta che le vecchie volpi partitiche d’ogni colore usano da sempre per stoppare le ruspe?

L’altra «rivolta»

Non bastasse, il sindaco di Licata non è il primo a esser buttato fuori. A gennaio era già stato costretto ad andarsene Pasquale Amato, primo cittadino di Palma di Montechiaro: mezzo paese (a partire dai delinquenti che lo tempestavano di lettere minatorie) non gli perdonava di aver appoggiato una serie di demolizioni obbligate da sentenze definitive. Al posto suo, oggi, c’è Stefano Castellino che, come hanno scritto i giornali locali, si è presentato «con le idee chiare». Primo punto: basta ruspe. I soldi, dice, possono essere spesi meglio. Il tutto, si capisce, nella convinzione «che la legalità, la trasparenza e la chiarezza siano essenziali». Ma che statista…