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La Guardia Costiera libica chiede “il pizzo” per i salvataggi. A proposito di legalità.

Un pezzo importante di Umberto De Giovannangeli. Da leggere e far leggere:

 

Non solo abbordati, minacciati, mitragliati. Ma ora anche taglieggiati. Nasce il “pizzo” sul salvataggio di migranti. Gestito da ufficiali della Guardia Costiera di Tripoli. È questa, confidano all’HuffPost fonti vicine ad Ong spagnole e tedesche, una delle ragioni, oltre quella della sicurezza, che hanno portato a una scelta estremamente grave. La sicurezza al primo posto, certo, ma fuori dall’ufficialità, il mondo delle Ong dà conto di una “sindrome di accerchiamento” che ogni giorno si alimenta di nuovi elementi che, messi insieme, ricostruiscono una situazione ormai insostenibile.

La Guardia Costiera di Tripoli, legata al Governo guidato da Fayez al-Serraj, detta la sua legge. E costringe le Ong che non si piegano ai suoi diktat ad abbandonare il campo. Vincendo le ragionevoli titubanze, i rischi di finire ammazzati sono altissimi, e con la garanzia dell’anonimato, c’è chi racconta ad HuffPost l’esistenza di un vero e proprio “tariffario”: per un gommone “lasciato salvare” vengono chiesti dai 45 ai 60mila euro.

La merce umana viene cosi “prezzata” due volte: per imbarcarsi e per avere una chance in più di non finire in fondo al mare. È un sistema dell’illegalità che si “legalizza” nel momento in cui a tirare le fila di questi (sporchi) affari milionari sono personale governativo, uomini in divisa, funzionari locali che arricchiscono i loro conti bancari all’estero, con la foraggiata complicità dei “colletti bianchi” che in qualche paradiso fiscale riciclano i proventi dei traffici.

Per mettere fine a questo sistema, il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, nemico giurato di Serraj, ha posto il suo di tariffario all’Europa: 20 miliardi di euro per trasformarsi, come e più del turco Erdogan, nel “Gendarme” del Mediterraneo. E se non si accetta di pagare il pizzo alla Guardia Costiera di Tripoli, allora il mare diventa off limits e la sicurezza una chimera. Così dopo Medici senza Frontiere (MsF) e l’Ong tedesca Sea Eye, anche Save the Children sospende i soccorsi ai migranti nel Mediterraneo. Le decisioni sono determinate dalla volontà della Libia di istituire una zona Sar, “limitando l’accesso delle Ong in acque internazionali” e a un ‘rischio sicurezza’ segnalato dal Mrcc (Maritime Rescue Coordination Centres) “dovuto a minacce della guardia costiera libica”. La Ong tedesca rilancia la denuncia di MsF: “Ci troviamo costretti a questa decisione a causa della mutata situazione di sicurezza nel Mediterraneo”, “non possiamo più continuare il nostro lavoro, non possiamo garantire la sicurezza degli equipaggi”, “l’espansione delle acque territoriali libiche e le minacce alle Ong non ci lasciano altra scelta”, si legge in una serie di tweet.

Come documentato nei giorni scorsi da HuffPost, la Guardia Costiera di Tripoli si è fatta sempre più aggressiva, diventando di fatto parte integrante del “caos” organizzato che da anni sta marchiando il Paese nordafricano. Ufficiali libici gestiscono il traffico di esseri umani in combutta con le organizzazioni criminali ed ora, dopo aver fissato il listino prezzi per essere imbarcati in una carretta del mare, rotta Mediterraneo, hanno anche avviato un’altra attività lucrosa e criminale: il pizzo per il salvataggio.

Le autorità libiche hanno dichiarato pubblicamente di aver istituito una zona di ricerca e soccorso (Sar) e limitato l’accesso delle navi umanitarie nelle acque internazionali al largo delle coste libiche. Subito dopo, il Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo (Mrcc) di Roma ha allertato Medici Senza Frontiere (Msf) di un rischio sicurezza legato alle minacce pronunciate pubblicamente dalla Guardia Costiera Libica contro le navi di ricerca e soccorso umanitarie impegnate in acque internazionali. A seguito di queste ulteriori restrizioni all’assistenza umanitaria indipendente e dell’aumento dei blocchi che costringono i migranti in Libia, MsF ha deciso di sospendere temporaneamente le attività di ricerca e soccorso della propria nave, la Prudence. L’equipe medica di MsF continuerà a supportare le attività di soccorso a bordo della nave Aquarius, di Sos Méditerranée, che al momento sta pattugliando le acque internazionali.

 

“Cari amici, oggi abbiamo deciso a malincuore di sospendere temporaneamente le nostre missioni di salvataggio nel Mediterraneo” scrive su Twitter il direttore di Sea-Eye, Michael Busch Heuer. Analoghe le ragioni. “Il motivo è la mutata situazione di sicurezza nel Mediterraneo occidentale, dopo che il governo libico ha annunciato una proroga a tempo indeterminato e unilaterale delle acque territoriali, in relazione ad una minaccia esplicita contro le ong private”, afferma il direttore della Ong tedesca, spiegando che queste condizioni rendono impossibile portare avanti il lavoro di salvataggio. “Sarebbe irresponsabile nei confronti dei nostri equipaggi”, sottolinea Busch Heuer, ricordando come negli ultimi giorni anche altre Ong, compresa Msf, abbiano annunciato il loro ritiro temporaneo dalla zona di ricerca e salvataggio fuori dalla costa libica. “Nei prossimi giorni e settimane – conclude – analizzeremo attentamente la mutata situazione di sicurezza sulle coste libiche e discuteremo la nostra azione futura”.

Stop anche per Save the Children. “Il nostro team di esperti a bordo della nave Vos Hestia – spiega Save the Children in un comunicato – è preoccupato che in questa nuova situazione le imbarcazioni dei migranti saranno costrette a tornare in Libia e molti bambini e adolescenti moriranno prima di lasciare la nuova zona SaR libica. Secondo quanto riportato, infatti, le autorità libiche avrebbero spostato la loro zona di competenza Sar dalle 12 miglia nautiche alle 70 miglia dalla costa libica e le imbarcazioni su cui viaggiano i migranti sono di gomma molto leggera, imbarcano facilmente acqua e non possono portare abbastanza carburante». L’Ong afferma che “in questo momento non è chiaro se entrando in quella zona, l’operazione di ricerca e salvataggio di Save the Children potrebbe essere a rischio, ma ciò che è chiaro è che molte vite potrebbero essere messe in pericolo, con la diminuzione della capacità di soccorso e salvataggio in quel tratto di mare”. Save the Children è “pronta a riprendere le proprie operazioni nella zona di salvataggio, ma abbiamo il dovere di garantire la sicurezza del team e l’efficacia delle operazioni”, si ribadisce nella nota. “Prima di poter riprendere la missione dobbiamo avere rassicurazioni in particolare sulla sicurezza del nostro personale, Se non le avremo saremo costretti a considerare la sospensione delle operazioni, anche se speriamo di non doverlo fare”, afferma Rob MacGillivray, direttore delle operazioni di Save the Children. L’Ong “è inoltre molto preoccupata per l’attuale diminuzione della capacità di salvataggio in mare, dovuta alla sospensione delle attività di altre Organizzazioni presenti nel Mediterraneo”. “Capiamo e rispettiamo – afferma ancora MacGillivray – tutte le Ong che come noi in questo momento si trovano a dover prendere una difficile decisione. La pausa delle operazioni delle navi mette infatti a rischio vite umane e diminuisce la capacità di salvataggio e per questo è necessario poter continuare riprendere appena possibile”.

“I libici oramai possono fare quello che vogliono con il sostegno dell’Europa e dell’Italia – afferma Stefano Argenziano, coordinatore dei progetti di migrazione di Medici senza frontiere – noi di MsF non vogliamo essere cooptati in questo meccanismo illegale, perverso e disumano”, sottolinea Argenziano, secondo cui “il codice di condotta è solo una distrazione, non ha alcuna base legale. Chi rispetta la legalità siamo noi, come abbiamo sempre fatto. Sono illegali, invece, gli accordi con la Libia, che fanno proliferare gli scafisti e le mafie. Le crisi migratorie si risolvono solo con la gestione ragionata dei flussi. Riprenderemo le nostre attività in mare solo – conclude – se si tornerà alla legge e al diritto internazionale”.

 

“Ci saranno più morti in mare e più persone intrappolate in Libia” aveva detto ieri Loris De Filippi, presidente di Medici senza Frontiere Italia. “MsF rifiuta di essere cooptata in un sistema che mira, a qualunque costo, a impedire alle persone di cercare sicurezza”, rilancia Brice de le Vingne, direttore delle operazioni. “Chiediamo alle autorità europee e italiane di smettere di attuare strategie letali di contenimento che intrappolano le persone in un Paese in guerra, senza nessuna considerazione dei loro bisogni di protezione e assistenza. Servono urgentemente delle vie sicure e legali per migranti e rifugiati, per ridurre inutili sofferenze e morti”, ha aggiunto. Ma smantellare il sistema di collusione sedimentatosi in Libia attorno al traffico di migranti è una impresa sempre più difficile da realizzare.

Un abitante di Zawiya, uno dei punti di maggior traffico di migranti, ha riferito ad “Al Jazeera” che il capo dei miliziani “è pagato direttamente dal governo con il compito di monitorare le attività al porto. Dovrebbe lavorare con i funzionari della marina, ma invece è il boss del traffico di esseri umani. Non solo gestisce quello che accade al porto, ma controlla direttamente anche diversi centri di detenzione”. L’agenzia Askanews riporta che una fonte del ministero dell’Interno libico, contattata da al Jazeera, ha confermato il racconto dell’abitante di Zawiya: “Le guardie costiere corrotte danno i migranti ai miliziani e i miliziani li tengono in centri di detenzione illegali. Qui iniziano a ricattare i migranti. Gli prendono i soldi, i telefoni, i documenti. Con i numeri che trovano sui telefoni, i trafficanti chiamano le famiglie per chiedere un riscatto per lasciarli andare. I miliziani li vendono anche ai caporali della zona che li usano come forza lavoro gratuita. Contrastarli è quasi impossibile, anche per la polizia”. Intanto la marina libica difende la sua decisione di vietare l’ingresso alle navi straniere nella sua zona appena istituita di ricerca e salvataggio. “Tutti i Paesi hanno le proprie zone di ricerca. La decisione è stata presa in base alle leggi e i regolamenti internazionali – ha detto all’agenzia Dpa il portavoce della marina libica, Ayoub Qasim – ciò fa parte del lavoro della marina libica. Lo abbiamo notificato alle agenzie delle Nazioni Unite”.